E’ scomparso Luigi Morsello: “Arrivederci” Gigetto

Gigetto Morsello era un “fanciullone”. Il suo carattere era genuino, brioso e privo di ogni malizia, era istintivo proprio come i giovani.

Gigetto ci lascia. Una vita dedicata allo Stato.  Nel corso del suo lavoro si è incontrato continuamente con la storia. Le conseguenze: solo Dio sa quanto sia rimasto scosso e segnato da quegli incontri.

Luigi Morsello

EBOLI – E’ improvvisamente scomparso Luigi Morsello. La nostra Città perde uno dei suoi migliori figli. Per noi era Gigetto, così come la sorella Lelena. Benché fossi più piccolo, eravamo cresciuti insieme, lui coetaneo dei miei fratelli pù grandi e Lelena coetanea di una delle mie sei sorelle. Affettuoso, gentile, educato, onesto, come il suo papà, anch’egli vissuto per una vita nelle carceri. Una famiglia sana, come tante che subito dopo la guerra, nella miseria ma nella modestia e nella dignità seppe rimboccarsi le mani e seppe dare un futuro alla Nazione.

Lo avevo visto questa estate e come sempre c’eravamo fermati e scambiati saluti e informazioni reciproche sul resto delle nostre famiglie, gli avevo comunicato che con il mio sito POLITICAdeMENTE, avevo intenzione di presentare, con la sponsorizzazione del Comune di Eboli il suo libro “LA MIA VITA DENTRO, Le memorie di un Direttore di Carcere“, di cui ne avevo già recensito l’opera. Quando glielo comunicai, nonostante l’avesse già presentato in tutta iItalia, ne fu straordinariamente entusiasta, proprio per il suo legame che aveva con la Città, con la sua infanzia, con ai suoi amici.

Gigetto era proprio un “fanciullone” e per il suo carattere genuino, era sempre giovane e privo di ogni malizia. Era istintivo proprio come i giovani. La sua vita, come sempre accade a quelli più sensibili, finisce sempre per mescolarsi con il lavoro in maniera irreversibile, lasciando anche brutti strascichi e cattive esperienze, e proprio queste esperienze sono state raccontate da lui, nel suo libro, narrandole con singolare semplicità e fornendo oltre che la cronaca anche i sentimenti che inevitabilmente ricorrevano quotidianamente nella sua esperienze di vita e di lavoro “dentro”, come magistralmente ha sintetizzato nel titolo del libro “Una vita dentro“, nel senso di averla vissuta “con”, “insieme”, a tutti quelli con cui si era incontrato oltre le sbarre.

E’ riuscito a raccontare le memorie di un direttore di carcere, raccolte in 36 anni di lavoro, tra i muri di alcuni dei massimi carceri. Episodi quotidiani vissuti nel corso di una vita, che sono poi risultati appartenere alla storia, elaborati e rivisti dalla letteratura e dalla cinematografia. Anni che si sono caratterizzati come quelli bui che hanno messo a dura prova lo Stato, la democrazia, le istituzioni repubblicane, ancora oggi per certi versi del tutto sconosciuti.

Rapine, sequestri, attentati, assassini e sullo sfondo apparivano prima le proteste studentesche, poi quelle nelle fabbriche, le insoddisfazioni di una classe operaia ancora del tutto insoddisfatta e la nascita delle Brigate Rosse. Un crescendo di recrudescenza e di smacchi allo Stato, alle istituzioni, ai suoi uomini, culminato con la sfida prepotente allo stato e con il sequestro, il processo e la successiva uccisione di Aldo Moro. Lo Stato in ginocchio, sembrava sconfitto fino a reagire prendendo il sopravvento sul terrorismo e ripristinando il normale corso della democrazia e delle regole.

Ebbene Gigetto, come uomo delle istituzioni e servitore dello stato, nel corso del suo lavoro quotidiano si è incontrato continuamente con la storia a partire: dalle rivolte di San Giminiano e i suoi retroscena; dall’evasione di Gianni Guido, Marco Donat Catten, Epaminonda, Sindona; o la sezione speciale a Gorgona voluta dal generale Carlo Alberto Dalla Chiesa; la paura delle Brigate Rosse; le conseguenze e solo Dio sa quanto sia rimasto scosso e segnato da quegli incontri.

Incontri che hanno portato sofferenze, emozioni, che hanno segnato l’uomo e lo hanno spinto  coraggiosamente e con estrema lucidità a raccoglierle e con “la mia vita dentro” forse consapevole di quel peso, ha voluto condividerle con gli altri e con i suoi lettori innanzi tutto, ma forse è stato anche il suo “testamento”.

Sebbene vivesse a Lodi, Gigetto era presente in Città attraverso il suo sito “Il Giornalieri“, e quando scopri il mio  sito, incominciò a comunicare via web e interveniva sui forum, con passione e autorevolezza. Ricordo quanto fu contento che in un giorno solo raggiunse centinaia di visite, mi mandò una mail e poi mi telefonò.

Dispensava consigli, offriva le sue opinioni, i suoi stati d’animo, le sue emozioni. Su un articolo pubblicao su questo blog “Torre & Vassallo: Ci vuole fortuna anche a morire ammazzati” scriveva: Sembrava un ossimoro, invece è una crudele realtà! Oggi in Italia più nessuno desidera volare alto, il gabbiano Jonathan si è postato e ha chiuse le ali anche lui“. Sul Procuratore della Repubblica Franco Roberti scriveva: “L’attuale Procuratore della Repubblica di Salerno è magistrato di grande competenza e raro rigore, andarci potrebbe non essere salutare!“. Invece si rivolgeva con amore ai figli di Benito Ingenito incoraggiandoli: “Carla e Marianna Ingenito. Io non ho conosciuto nessuno dei figli di Benito, solo vostra madre ed una sola volta. Leggendo i vostri commenti mi sento motivato a rivolgerli parole di consolazione, pur sapendo quanto sia difficile accettare una così dura realtà: la scomparsa di un padre. Nel 1992 a distanza di un mese vennero meno i miei genitori, prima mia madre che resistette fino a quando io non arrivai dal nord e morendo un attimo dopo il mio ingresso nella stanza di casa nostra (erano entrambi ricoverati in ospedale a Eboli e mia madre era stata dimessa perché ormai alla fine). Un mese dopo moriva mio padre. Capisco il vostro strazio, Benito era un uomo buono, che non lasciava trapelare la propria bontà. Era uomo di poche parole. Lo dimostra ciò che disse a Marianna, una frase molto efficace e lungimirante. Piano piano il dolore, la sofferenza si attenueranno. E’ nell’ordine naturale delle cose”.

Potrei riportarne a centinaia di questi post, per meglio evidenziare il carattere di Gigetto, ma questo è solo il piccolo ricordo affettuoso di un amico, il mio piccolissimo contributo-saluto all’amico, così come esprimo alla moglie Anna Maria D’Arino e ai figli il mio più sincero cordoglio.

Ho voluto riportare anche il servizio che Cristina Vercellone ha scritto sul quuotidiano “il cittadino.it”, per aggiungere la memoria di chi pur non avendolo conosciuto da giovane lo ha apprezzato da uomo delle istituzioni.

ARRIVEDERCI GIGETTO

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Addio a Morsello, cambiò il carcere

LODI – Aveva appena compiuto 74 anni. Luigi Morsello, il direttore di carcere che ha innovato il sistema detentivo italiano, se n’è andato ieri mattina, intorno alle 6, nel suo letto d’ospedale. Da 15 giorni era ricoverato per problemi di fegato e non si è più ripreso. La sua scomparsa lascia un grande vuoto nel mondo penitenziario. Molto apprezzato per le sue doti umane, Morsello era arrivato a Lodi nel settembre del 1997 ed era rimasto qua fino al pensionamento, nel gennaio 2005. Proveniva da una lunga esperienza, nelle carceri italiane. Era stato in 18 istituti, dal Nord al Sud dello stivale, affrontando anche momenti difficili, negli anni caldi della contestazione, finendo persino a processo, per essere poi assolto. Morsello non faceva mistero neanche della sua malattia, la depressione bipolare che l’aveva condotto persino a spararsi un colpo di pistola. L’aveva dichiarato, senza problemi, nel corso di un’intervista rilasciata al direttore del «Cittadino» Ferruccio Pallavera, alla vigilia del pensionamento. Negli ultimi anni era riuscito a curarla, con l’uso di un farmaco che nessuno gli aveva mai consigliato. Era molto soddisfatto per questo. Eppure il tentativo di suicidio, aveva detto pensando in positivo, l’aveva legato ancora di più alla vita, alla moglie e ai suoi tre figli.

Parole di cordoglio arrivano dal provveditore Luigi Pagano. «È stato un mio direttore – commenta – e poi un amico quando è andato in pensione. Ci scrivevamo molto. La sua era una personalità a tutto tondo. Si interessava di tutto e su tutto aveva un’idea. Un’idea non da bar, ma da tecnico che entra nei dettagli con competenza. Era un uomo puntiglioso. Le sue note erano piene di riferimenti giurisprudenziali e bibliografici. Ci siamo visti l’ultima volta a Lodi per il suo libro “La mia vita dentro”», che era stato poi presentato anche in Parlamento.

«Era un direttore decisionista – aggiunge Pagano -, ovunque andasse lasciava il segno. Quando arrivava in un istituto, in quattro e quattro otto sistemava le cose. A tutto pensava, tranne che si potesse riposare. È stato il primo direttore di carcere in Italia che ha avviato, proprio a Lodi, il reinserimento lavorativo dei detenuti che avevano compiuto reati come violenze sessuali o pedofilia. Ci voleva un bel coraggio, in una struttura di provincia come la Cagnola, in quel periodo. Sulla base di questa sua esperienza è stato aperto un reparto analogo, successivamente, a Bollate. Ovunque andasse risolveva i problemi aperti. Era un burbero apparente: dietro la facciata si nascondeva un’infinita generosità». Sabato Pagano avrebbe dovuto partecipare all’inaugurazione dell’anno giudiziario. Invece ha scelto di venire con i suoi collaboratori ai funerali che si terranno nella chiesa di San Lorenzo, alle 9. (La salma partirà dalla casa, al 4 di via Vignati e sarà sepolta al cimitero di San Bernardo). «Era una persona originale – aggiunge con affetto il comandante della Cagnola Raffaele Ciaramella -, esercitava l’autorità senza problemi, non posso che dire bene di lui. Io e tutto il personale siamo molto rattristati e vicini alla famiglia. Per tutto il giorno non abbiamo parlato d’altro».

Pasquale Franco dell’Associazione lodigiana volontariato carcere riconosce a Morsello «doti di grande umanità. «Era una persona molto disponibile – racconta -. Ci diceva sempre: “Trovate un lavoro a questi detenuti che li facciamo uscire tutti. Il carcere non serve a niente. Se queste persone vanno fuori guadagnano qualcosa e mantengono la famiglia. Non si redimono certo stando in branda”. Avevamo portato anche il lavoro in carcere. La Bassani motori forniva i motori da avvolgere e assemblavano le plafoniere della Brocca. Poi le porte si sono aperte e i detenuti hanno iniziato a lavorare per la cooperativa San Nabore e per la Luna. Alcuni lavorano ancora lì adesso. Morsello era un uomo capace di comprendere i grandi drammi esistenziali che si nascondono dietro le persone ristrette. «Se ci fossimo trovati nelle stesse circostanze di vita di queste persone – diceva – avremmo fatto anche noi come loro. Veniva sempre incontro ai volontari. Capiva che eravamo preziosi. Morsello ha umanizzato il carcere». Il volontario di “Los Carcere” Andrea Ferrari è sinceramente commosso. «A lui – dice – devo il mio ingresso in carcere come volontario, insieme ad Alex Corlazzoli e Cristiano Marini. Con lui e il direttore del Cittadino abbiamo dato il via al giornale “Uomini liberi”. Sotto la sua direzione a Lodi abbiamo avuto il record di “articoli 21”, cioè di detenuti che uscivano in permesso di lavoro. Nonostante l’età, aveva molto più a cuore il lavoro all’esterno che le attività ludiche in carcere. Era uno che riusciva a pensare a tutto, persino a progetti sul territorio. Dopo il suo pensionamento il nostro rapporto di incontri è stato sempre costante. Parlavamo di tutto, di carcere, ma anche di politica. Amava molto questa città (Morsello era nato in Basilicata e si era laureato all’università di Napoli, ndr). La sua perdita non sarà facile da compensare. Morsello andava fino in fondo nelle sue battaglie. Quando mi capitava di andare in direzione, già in lontananza sentivo la musica classica che usciva dal suo ufficio. L’augurio è che ritrovi là dove andrà la musica che amava tanto e che questa gli dia serenità».

Cristina Vercellone da “il Cittadino.it” del 26 gennaio 2012

7 commenti su “E’ scomparso Luigi Morsello: “Arrivederci” Gigetto”

  1. CONDOGLIANZE VIVISSIME,HO LETTO + VOLTE I SUOI POST E LE RECENSIONI DEL SUO LIBRO,TESTIMONIANO UNA VITA DEDICATA OLTRE CHE ALLO STATO AD UN IDEALE DI GIUSTIZIA,SINCERA,E NON DEMAGOGGIZZATA ALLA BISOGNA..EBOLI PERDE UN UOMO VALENTE ED UNA PERSONA PERBENE…

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  2. Cosa dire, ho perso un amico, gli volevo bene, mi voleva bene, mi mancheranno le brusche sgridate che tante risate mi provocavano, le incazzature quando lo incalzavo prima che finisse di parlare. Veniva ad Eboli a svernarsi sostando da Aprile a Settenbre insieme alla dolce Annamaria, moglie amata fin dalla tenera gioventù, non amava più questo paese malgovernato ed abitato da persone che ben meritavano questo stato, ai suoi adorati figli e ad Annamaria faccio le mie sentite condoglianze. La sua amicizia per me è stato un dono, Gigetto ha curato quasi tutti i miei articoli sul Giornale di Eboli fino a quando ha terminato la sua collaborazione di redattore per dedicarsi interamente al suo angolo telematico
    ” I giornalieri” dove sul frontale mi ha onorato mettendo un mio disegno chinato giovanile.
    Addio amico mio per tutte le belle parole che hai speso per me. Mariano

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  3. Di Gigetto ho solo ricordi belli. Essendo vicini di casa l’ho conosciuto fin dalla mia infanzia, e lo ricordo con tanto piacere e tantissimo affetto. Questi poi sono ricordi che si estendono sia ai suoi genitori che a sua sorella. Parallelamente abbiamo fatto le stesse scuole ed una simile trafila universitaria. Ed insieme si è cresciuti all’insegna dei “sacrifici”. Poi le nostre strade si sono avviate per sentieri diversi: Gigetto lungo i meandri spesso minati delle istituzioni Italiane ed io lungo sentieri inesplorati all’estero. Stranamente però ci siamo rivisti e cercati periodicamente durante i nostri sporadici ritorni ad Eboli, e lo abbiamo sempre fatto con grande e reciproco affetto. Lo ricordo come un ragazzo intelligente e fondamentalmente di grande onestà. Era genuinamente un buono, ed era incapace di portare rancore. Ci mancherà.
    Ad Annamaria ed alla famiglia porgo le mie più sentite condoglianze.
    Gabriele Del Mese

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