Paestum: “Il ritratto non vedente” mostra fotografica di Armando Cerzosimo

4 ottobre, ore 11 e fino al 13 novembre, sala Metope, Museo Archeologico di Paestum vernissage della mostra fotografica di Armando Cerzosimo.

“Il ritratto non vedente” la mostra di Armando Cerzosimo è stata presentata dai Comuni di Capaccio-Paestum e Bellizzi, la Fondazione Paestum e l’associazione Posidonia, in collaborazione con l’Unione Italiana Ciechi sez.ne di Salerno.

Armando Cerzosimo
Armando Cerzosimo

da (POLITICAdeMENTE) il blog di Massimo Del Mese

CAPACCIO PAESTUM – Domenica 4 ottobre, alle ore 11,00 e con durata fino al 13 novembre 2015, nella sala Metope, del Museo Archeologico Nazionale di Paestum vernissage della mostra fotografica di Armando Cerzosimo: “Il ritratto non vecente“.

Parte da Paestum la mostra itinerante “Il ritratto non vedente” di Armando Cerzosimo, dodici scatti, una galleria-installazione in bianco e nero che rovescia luoghi comuni e pregiudizi. Il fotografo salernitano ha, infatti, messo in posa, persone cieche dalla nascita o che hanno perso successivamente la vista, restituendo ai nostri sguardi “ciechi” l’orgoglio e la dignità di chi guarda la vita “Da un altro punto di vista”, come titola il testo in catalogo della giornalista e critica d’arte Erminia Pellecchia. Questo particolare progetto, accolto con entusiasmo dalla direzione del Parco archeologico di Paestum, è nata dalla collaborazione tra l’autore, da sempre attento ai temi sociali, e L’Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti, sezione di Salerno, presieduta da Tommaso Sica.

Mostra Cerzosimo 1
Mostra Cerzosimo 1

Hanno aderito all’iniziativa i Comuni di Capaccio-Paestum e Bellizzi, la Fondazione Paestum e l’associazione Posidonia.

La mostra, allestita fino al 13 novembre nella sala Metope del Museo archeologico nazionale di Paestum, sarà inaugurata domenica 4 ottobre, in occasione della Giornata nazionale della Famiglia al Museo. L’opening è alle 11.00, negli spazi antistanti il museo.

“Lo dovevo – scrive Cerzosimo – Una parte della mia vita dedicata alla fotografia ma mi mancava ancora qualcosa. Lo dovevo. Poter fare in modo che al mio continuo angolare, lo sguardo si fermasse negli occhi di chi non può esprimere giudizio se non dalle sensazioni o vibrazioni che partono dalla mia coscienza, attraversano la mia voce e passano attraverso la mia macchina (oscura) fotografica…“.

“Una mostra insolita, etico-estetica, riflessiva e provocatoria, sicuramente politicamente scorretta nel dichiarare la verità al di là di retoriche e pietismi, che urla con orgoglio l’Io sono cieco’ nel silenzio della sala delle Metope del museo di Paestum…“, sottolinea Erminia Pellecchia.

Il catalogo sarà presentato nel corso della serata di finissage.

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Da un altro punto di vista

di Erminia Pellecchia

La Musa lo amò molto, ma un bene e un male gli diede. Degli occhi lo fece privo e gli donò il dolce canto. (Odissea VIII, 63-65)

C’è una testa di Omero conservata nel Museo Barracco di Roma. Il poeta viene rappresentato come un uomo vecchio ma pieno di dignità e nobile bellezza, la cecità perde il semplice tratto biografico divenendo simbolo di saggezza e di una memoria sconfinata. Non so se è rimasta un’eco di questa immagine nel recente lavoro di Armando Cerzosimo, “Il ritratto non vedente”, un viaggio introspettivo nell’universo misterico di chi è privo della vista. Di sicuro la evoca. Quella scultura di marmo pario, copia dell’originale del V secolo a, C., mi è tornata alla mente di fronte alla posa elegante di Massimo, alla sua grande forza espressiva che si immedesima nell’altro sguardo, quello interiore, del grande cantore dell’epos greco. Una suggestione, questa, sicuramente provocata dall’allestimento di questa mostra insolita, etico-estetica, riflessiva e provocatoria, sicuramente “politicamente scorretta” nel dichiarare la verità al di là di retoriche e pietismi, che urla con orgoglio l’“Io sono cieco” nel silenzio della Sala delle Metope del museo di Paestum.

Dodici ritratti, una galleria-installazione in bianco e nero che rovescia luoghi comuni e pregiudizi. L’autore entra in cortocircuito psicotico con colui che sembra docilmente farsi catturare dall’obiettivo, ma è a sua volta catturato dal soggetto-attore, che lo sollecita, invece ad una lettura dall’altra parte dello specchio. Il loro rapporto si stringe in una relazione simbolica fotografo-fotografato-fotografia dove la “camera oscura” allude alle tenebre come metafora di quello che non possiamo vedere e di quello che non potrà mai essere visto, ma, nello stesso tempo, quasi inconscio ottico, elabora la pulsione alla luce, la vertigine dell’ineffabile, rompe le barriere dell’invisibilità, ricerca una dimensione accessibile.

Non è la semplice costruzione di un set, un teatrino di maschere, la messa in scena artistica di personaggi difficili voluta ipocritamente per lanciare un messaggio – oggi purtroppo tanto di moda – sociale e solidale. Cerzosimo, “da un altro punto di vista”, fa della diversità quotidianità. Per mesi è stato a contatto di quelli, che poco alla volta, sono diventati i suoi amici non vedenti. Ne ha ascoltato le storie, è entrato con pudore nelle loro vite di tutti i giorni ed ha scritto, alla fine di un percorso condiviso, un diario biografico-autobiografico attraverso scatti che esprimono sogni, desideri, gioia, ironia, grinta, determinazione, che raccontano lo spirito e la personalità, straordinari, di chi dell’ombra ha fatto finestra sul sole.

Nella sequenza di chiaroscuri, il nero che avvolge i volti, che evidenzia occhi smarriti e vuoti ma pregni di spiritualità, vira di quadro in quadro verso la luminosità. “Mostrami chi sei”, è la muta, ardente domanda del fotografo. “Ti mostro chi sono, eccomi non sono un perdente”, è la risposta esplicitamente dichiarata dal porsi davanti alla macchina fotografica a muso duro, senza occhiali, nudi ma vestiti di fierezza. Consapevoli. Una giovane donna è ferma davanti ad una scala a chiocciola. Labirintica, impervia, buia. Alza la testa, si lascia abbracciare dallo spiraglio di luce che penetra in quel mondo di inferi. L’ascesa non le fa paura, al di là c’è la certezza di riappropriarsi del proprio essere. E’ l’altra faccia del Tuffatore, la lastra icona del museo di Paestum: il ragazzo si libra leggero nell’aria in un volo verso il mare dell’ignoto per riemergere libero, purificato, risorto.

Capaccio Paestum, 4 ottobre 2015

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