Il “Martirio di S. Orsola” del Caravaggio ritrovato a Eboli

Una incredibile storia cominciata nel 1954: Il ritrovamento ad Eboli dell’ultimo capolavoro di Michelangelo Merisi detto  il Caravaggio.

EBOLI – Una storia veramente straordinaria che val la pena di raccontare e ha come protagonista un ragazzo di Eboli, Mariano Pastore e che egli stesso racconta oggi, con la sua esperienza di uomo adulto ma con il ricordo di un fanciullo che lo riporta indietro nel tempo e lo riporta ad incontrarsi con la storia, con l’arte, con la cultura, non più cittadina ma universale. Mariano nella sua vita si è intrecciato spesso con la storia e grazie a lui  noi stessi riviviamo il nostro passato nobile e importante.

La cultura e l’arte in tutte le sue forme, hanno trovato sempre nei ricchi i “protettori” di quei “pazzi” che con la poesia, la musica, la pittura, la scultura e tutte le sue forme espressive e questi furono chiamati “Mecenati”. Forse per farsi perdonare le loro angherie, forse perché attratti da qualità, a loro estranee, di questi “portatori” di cultura, forse solo per diletto o per moda, comunque hanno fatto in modo che tante bellissime opere d’arte, monumenti o opere architettoniche di grande valore sono poi arrivate a noi.

La storia dei ricchi, dei potenti, dei dittatori o dei regnanti si è sempre intrecciata con i poveri, con il popolino, con la gente semplice, quella che non è mai entrata nella storia, pur essendone grandi protagonisti nella gente semplice o magari con con i pittori, i musicisti, gli scrittori, i poeti, gli scultori, gli uomini di scienze e di ingegno.

Anche in questa storia, quella del ritrovamento de “Il Martirio di S. Orsola” del Caravaggio, vede incrociarsi il destino di ricchi e nobili signori come i Romano-Avezzano e persone povere e semplici come Mariano Pastore e suo padre Felice Pastore, si, l’acquaiuolo. Una storia semplice e bella, e tra i nobili e il volgo c’è l’opera d’arte, quella del Caravaggio. Il racconto di Mariano Pastore è ricco di emozioni, ed è ricco di saggezza e di cultura, che solo gli intenditori sanno apprezzare.
POLITICAdeMENTE la ripropone con la speranza che tutti possano diventare intenditori.

Martirio di SantOrsola del Caravaggio
Martirio di Sant'Orsola del Caravaggio

di Mariano Pastore

EBOLI – Le immagini che vede l’occhio del bambino appaiono sempre ingigantite, le stesse visioni, riviste da adulto, risultano quasi sempre ridimensionate e il più delle volte se ne resta delusi, ma questo non si è verificato nell’episodio che mi è accaduto quando avevo undici anni.

Mio padre, dopo una prigionia in Africa Orientale durata ben sette anni, tornò ad Eboli nel 1946 e per mantenere la famiglia trovò un lavoro stagionale nel tabacchificio alle Fiocche, in alternanza, nel periodo autunnale, con il mestiere di barbiere, imparato a malavoglia nel salone del padre.

Con queste occupazioni riuscì a mantenere dignitosamente la famiglia fino agli anni cinquanta, poi con l’aiuto di parenti di mia madre, soci e consiglieri del Consorzio in Destra Sele, trovò in quest’Ente un lavoro stabile. Faceva l’acquaiolo: a giorni alterni portava l’acqua per dissetare gli operai che mantenevano canali e canalette pulite per l’irrigazione dei poderi, di notte sorvegliava e distribuiva a ore l’acqua ai contadini della nostra piana per i campi seminati. Nell’estate del 1952 durante le vacanze scolastiche l’accompagnai, come l’anno precedente, nei suoi giri per le fattorie sorte grazie alla riforma agraria. Il luogo d’incontro per lui ed i suoi colleghi di lavoro era la foresteria della villa dei baroni Romano-Avezzano.

La Baronessa Avezzano, donna d’alto lignaggio, gentile, dispensatrice di sorrisi, sempre attenta verso tutto e tutti, per suo costume era solita offrire i famosi mustacciuoli ricoperti di cioccolato con caffè e latte e servire con le sue mani tanto gli operai quanto i suoi ospiti. Ricordo con piacere le premure che rivolgeva a me ed un altro ragazzino, figlio di un operaio di Battipaglia, di cui ricordo solo il nome: Gerardo; per colazione ogni mattina nel suo salone-soggiorno ci preparava latte con biscotti accompagnati da una cassatina. Mi sedevo a gustare quella gradita merenda in quel locale grande quanto tutta la mia casa e rimanevo sempre attonito a rimirare i quadri appesi alle pareti con le loro cornici mastodontiche, in me hanno lasciato piacevoli visioni che il tempo non è riuscito a cancellare e riaffiorano ancora nella mia mente.

Attraverso letture e ricerche sono venuto a conoscenza che i quadri esposti in quella casa erano dei veri capolavori, anzi qualcuno addirittura ha fatto storia nell’arte universale della pittura.

Nei primi giorni del giugno 2008 mi trovavo con Benito Ingenito nell’ufficio del Sindaco di Eboli Martino Melchionda per un colloquio e ho avuto modo di poter ammirare la splendida riproduzione su tavola de Il Martirio di Sant’Orsola confitta dal Tiranno di Michelangelo Merisi detto il Caravaggio in dimensioni originali (cm. 143 x 180). Questo capolavoro è ritenuto l’ultima opera del geniale pittore lombardo; la dipinse nell’ultimo soggiorno napoletano prima della morte avvenuta sulla spiaggia di Port’Ercole nell’estate del 1610 e causata da una malaria maligna che in pochi giorni, dopo violenti attacchi di febbre, lo portò alla tomba a soli trentanove anni, dopo una vita vissuta in modo avventuroso e violento. L’epilogo fu lo sciagurato scontro del 28 maggio 1606 per una rissa avvenuta durante una partita alla pallacorda fra due gruppi di quattro amici ciascuno, l’uno capeggiato dal Caravaggio, l’altro da un certo Ranuccio Tomasoni da Terni. Tra i due contendenti non correva buon sangue perché, in precedenza, si erano contesi le grazie di una donna bellissima e, frequentando gli stessi ambienti, certamente avevano già avuto modo di venire alle mani. La rissa degenerò in duello ed il Tomasoni venne ucciso dalla spada del Caravaggio che, seppure ferito gravemente nella sfida, con l’aiuto di amici riuscì a fuggire fuori dai confini pontifici sperando di poter ritornare appena tutto si fosse calmato. Questo episodio segnerà la sua esistenza in modo irrimediabile, cambiando anche il suo modo di rappresentare le scene dei suoi famosissimi quadri. Caravaggio trovò protezione e rifugio dal Principe Marzio Colonna amico e mecenate. Un suo biografo lo descrive dicendo: “Egli è un misto di grano e di pula; infatti non si consacra di continuo allo studio, ma quando ha lavorato  un paio di settimane, se ne va a spasso per un mese o due con lo spadone a fianco e un servo dietro, e gira da un gioco di palla all’altro, molto incline a duellare e a far baruffe, cosicché è raro che si possa frequentare. ancora:  …usando egli drappi e velluti nobili per adornarsi; ma quando poi si era messo un abito, mai lo tralasciava, finchè non gli cadeva in cenci” -. “Era negligente nel pulirsi; mangiò molti anni sopra la tela di un ritratto servendosene per tovaglia mattina e sera(2).

Si può ammirare la riproduzione dell’opera del Caravaggio nel palazzo di Città, nella sala udienze del Sindaco, come ho scritto sopra, mentre l’originale è conservato nella sede della Banca IntesaSanPaolo di Napoli nel prestigioso e antico palazzo Zavallos-Stigliano in via Toledo 185, la tela è stata restaurata ed il lavoro di valenti maestranze ha riconsegnato l’opera del grande maestro nelle sue dimensioni originali con esiti e risultati superiori alle aspettative.

Il Martirio di Sant’Orsola… fu visto ad Eboli nel 1954 dal prof. Ferdinando Bologna (3) docente di Storia dell’Arte in varie Università compresa quella salernitana. Da vari saggi e scritti di studiosi d’arte, ho appreso che il prof. Bologna trovandosi a Salerno dal prof. Venturino Panebianco, a quel tempo sovrintendente ai Beni Culturali, fu invitato con il suo illustre ospite ad Eboli dai Baroni Romano-Avezzano nella loro tenuta fuori città in località Buccoli (luogo noto perché nelle immediate vicinanze si consumò una delle tante barbarie della seconda guerra mondiale: la fucilazione per mano dei nazifascisti del generale Ferrante Gonzaga del Vodice, medaglia d’oro al valor militare), già appartenuta alla famiglia Doria, principi d’Angri e duchi di Eboli. Il prof. Bologna, studioso e conoscitore d’arte, osservando i numerosi quadri che ornavano le pareti di quella casa, fu attratto dall’opera riprodotta in modo splendido del Bernardo Cavallino, (4) di cui si può ammirare l’originale nel museo dell’Ermitage di Pietroburgo, da una bellissima tavola raffigurante La Strage degli Innocenti che anni dopo, in seguito a studi, fu attribuita al Poggi e da un altro quadro in cattivo stato di conservazione e perciò di non facile decifrazione iconografica e chiese ai proprietari di fotografare i dipinti che avevano attirato tanto la sua attenzione. Animato dai recenti studi fatti sulla mostra del Caravaggio tenuta a Milano nel 1951, incominciò a interrogarsi sulle caratteristiche pittoriche caravaggesche che il quadro del martirio gli ricordava. Appena ebbe l’opportunità ne parlò al prof. Roberto Longhi, (5) autorità in quel tempo nel campo della Storia dell’Arte ed inoltre grande studioso e divulgatore di Caravaggio ed i Caravaggeschi, ed alla sua assistente Mina Gregari (anch’essa nota per gli studi su Caravaggio), mostrò le foto del dipinto ipotizzando l’attribuzione al Caravaggio di epoca napoletana, subito si scontrò con il giudizio del Longhi che assegnava il dipinto a Bartolomeo Manfredi (6) per la tecnica pittorica. Tuttavia, Ferdinando Bologna rimase della sua opinione, convinto che, dopotutto, il prof. Longhi aveva espresso il suo punto di vista solo in base all’osservazione di una fotografia.

Intanto i Romano-Avezzano avevano portato il quadro a Napoli, ritenendo di tenere il dipinto in luogo più sicuro dopo tanto clamore, interesse e pubblicità suscitati dall’opera negli ambienti culturali campani, sulla stampa locale e nazionale. In quegli anni s’incominciava ad avere una qualità di vita migliore, la miseria procurata dalla guerra cedeva il passo a condizioni economiche più favorevoli, si intravedeva lo sviluppo del Paese e si toccavano con mano i benefici della ricostruzione. Ci fu una ripresa in tutti i campi e negli anni sessanta arrivò il benessere, il boom, il miracolo economico ed anche il mondo della cultura ne trasse vantaggi. In quegli anni la Sopraintendenza ai Beni Culturali di Napoli stava progettando una mostra su Caravaggio e i Caravaggeschi da tenersi ad Atene e Napoli, appena il prof. Bologna ne venne a conoscenza, si attivò affinché anche l’opera da lui scoperta a Eboli fosse esposta, accettando il compromesso che nella scheda di presentazione il quadro fosse denominato come Soggetto allegorico da attribuirsi come dipinto alla maniera pittorica di Bartolomeo Manfredi o come lavoro giovanile di Mattia Preti (7) come s’era espresso il critico napoletano Raffaello Causa. Alla chiusura delle mostre i proprietari Romano-Avezzano vendettero l’opera alla Banca Commerciale Italiana, la quale subito affidò il restauro alle mani esperte di Antonio de Mata, che durante il lavoro scoprì sul retro del quadro, dopo la sfoderatura della tela, scritte ottocentesche: Michelangelo da Caravaggio seguito da tre lettere maiuscole puntate M.A.D. committente dell’opera ossia Marcantonio Doria e la data della sua morte. Dopo accurati studi le iscrizioni risultarono del diciottesimte in occasione di un restauro o di un passaggio ereditario. Negli anni ottanta, finalmente, l’opera fu attribuita con certezza al grande Caravaggio, per l’ostinazione del prof. Ferdinando Bologna e per le ricerche del suo assistente prof. Vincenzo Pacelli, collaboratore alla cattedra di Storia dell’Arte Medievale e Moderna di Napoli, che nell’archivio Doria D’Angri scoprì documenti importanti, alcuni scritti da Lanfranco Massa cittadino genovese e procuratore a Napoli della famiglia Doria. Si legge in uno scritto datato 1 maggio 1610 da Napoli e diretto a Genova per Marcantonio Doria, figlio del Doge Agostino: “Pensavo di mandarle il quadro di Sant’ Orzola questa settimana però per assicurarmi di mandarlo ben asciuttato, lo posi al sole, che più presto ha fatto revenir la vernice che asciugatole per darcela il Caravaggio assai grossa: voglio di nuovo esser da detto Caravaggio per pigliar suo parere come si ha da fare perché non si guasti” (8).

La tela, trasferita a Genova, è citata in un inventario manoscritto del 15 maggio 1620, per poi ricomparire nel testamento di Marcantonio del 19 ottobre 1651 a favore del suo primogenito Nicolò, principe d’Angri e duca d’Eboli. Nel settecento non si ha notizia dell’opera né documentaria, né testamentaria, viene nominata su un lascito, sempre manoscritto, di Giovanni Maria Doria, che nel suo testamento, dettato a Roma il 5 luglio 1814, nomina suo erede Giovanni Carlo Doria. Il quadro rimase a Genova fino al settembre 1832, infatti, in una lettera del 31 agosto 1831 di Marina Doria Cattaneo indirizzata al principe d’Angri apprendiamo: I quadri che la sottoscritta desidera consegnare al sig. don Giovanni Carlo Doria duca d’Eboli in adempimento del legato fu marchese Giuseppe Maria Doria padre della stessa, sono i seguenti: Primo, il Cristo alla Colonna del Tiziano; Secondo, Santa Ursula di Michele Angelo da Caravaggio; Terzo, Gli Innocenti quadro grande del Poggi; Quarto, il Gruppo di Cavalli di Leonardo da Vinci; Quinto, il Giobbe dello Spagnoletto; Sesto, la miniatura de’ ritratti naturali del quondam Agostino Doria quando era Doge, quali sei quadri sono gli stessi che si vedono indicati nel testamento del principe Marc’Antonio Doria quondam Agostino del 1651, vi mancano però i due quadri rappresentanti uno il Cristo morto ossia la pietà dello Spagnoletto, perché impossessatene il Governo della Repubblica Ligure di Genova, come da documenti autentici, e decreti della commissione del Governo 29 novembre e 21 e 22 dicembre 1800, a questi sei vi aggiunse tre ritratti di famiglia, uno del Rubens, uno del VanDick, ed il terzo un opera di Giusto Vitterman, che in tutto sono quadri nove. (9) Giovanni Carlo Doria si accorse del pessimo stato di conservazione dei quadri, subito chiamò l’artista per il loro restauro come da notizia della lettera inviata dal Principe al suo procuratore Bartolomeo Onesti:  …. che a riserba del quadro grande del Poggi, tutti gli altri hanno molto sofferto per essere stati lavati in addietro da mano inesperta, cosi bramerei se fossero al caso di restaurarsi e la spesa occorrente. Altre volte per quadri di mia famiglia io fui molto soddisfatto dal pittore Merano. Procurate di consultare costui e darmi un distinto ragguaglio di tutto (10). Il procuratore interpellò il Merano per l’importo di spesa occorrente per il restauro informando il Duca:  … Conto del restauro, pittura, con la spesa di tela, telaro, fatica d’uomo, di fodratura dei qui noti quadri…(e tra questi annota): nr. 1 quadro del Caravaggio rappresentante Sant’Orsola lire 80(11). Le traversie del quadro sembrano non finire, anche il restauro del Merano provoca danni alla Sant’Orsola, lo prova un  manoscritto inviato al duca e ritrovato nell’archivio Doria: …molto mi rincresce, che quello del Caravaggio abbia sofferto molto per essersele attaccato la carta di cui il sig. Merano stimò fasciarli essendo esso, che gli ha interamente imballati, il detto quadro in origine il più danneggiato, essendo già stato altre volte mal restaurato. (12) Nella seconda metà del secolo diciannovesimo viene redatto (tra il 21 agosto 1854 ed il 6 febbraio 1855) l’inventario dei beni dopo la morte di Giovanni Carlo Doria, avvenuta a Napoli nel palazzo di famiglia sito allo Spirito Santo. Il quadro si trova erroneamente menzionato come Sant’Agata del Caravaggio e registrato con le misure di:  palmi sei e tre quarti, per cinque e tre quarti, la tela dai periti viene descritta come  molto mal restaurata. (13)

L’ultimo restauro che la proprietà Intesa-SanPaolo ha affidato all’Istituto Centrale per il Restauro sembra che abbia ottenuto un risultato più che soddisfacente, un plauso alla responsabile scientifica

Denise Maria Pagano ed ai restauratori Carlo Giantomasi e Donatella Zari che con il loro paziente lavoro hanno finalmente e definitivamente risolto l’annoso problema consegnando l’opera all’istituto Bancario, che, con le Istituzioni, nel corso dell’anno 2004 promosse e curò direttamente un’esposizione itinerante: a Roma alla Galleria Borghese, a Milano nella Biblioteca della Pinacoteca Ambrosiana ed a Vicenza nella sede museale della Banca Intesa-SanPaolo. Il vastissimo pubblico che visitò le mostre ebbe modo di vedere per primo il particolare, rimasto nascosto per secoli, del capolavoro di Caravaggio: dipinta tra il manto rosso di Sant’Orsola e l’arco del re unno che scocca il dardo che uccide la vergine, si vede la mano aperta del protettore della Santa (di profilo dietro la testa di Sant’Orsola il protettore sembra essere l’autoritratto del Caravaggio) che si proietta per fermare la freccia.

Cito, a chiusura del mio articolo, l’affermazione del prof. Bologna: “Non è stato difficile, dopo il ritrovamento di tanti documenti importanti provare in seguito che l’opera proveniva effettivamente dall’eredità Doria, e che a Eboli, dove è stata ritrovata, era a casa sua, poiché la villa passata all’inizio del sec. XX ai Romano-Avezzana era la villa dei Doria, Principi di Angri e Duchi di Eboli” –. (13)

1)       CRONOLOGIA: – 1571 – Michelangelo Merisi da Caravaggio nasce probabilmente verso la fine dell’anno a Milano, dai coniugi Fermo Merisi e Lucia Aratori. – 1576 Fuga della famiglia a Caravaggio (BG) a causa della peste a Milano. – 1577 Morte del padre, probabilmente in seguito alla peste. 1584Caravaggio inizia un periodo di apprendimento di quattro anni a Milano presso il pittore Simone Peterzano. – 1589-92 – Il pittore vive a Caravaggio. – 1590 – Morte della madre. – 1592 ca. Caravaggio vive a Roma e lavora in diverse botteghe. – 1593 ca. Caravaggio entra a far parte della bottega del pittore Giuseppe Cesare d’Arpino. – 1595-96 ca. Soggiorno a Palazzo Madama, residenza del suo primo mecenate cardinale Del Monte. – 1599 – Durante il mese di luglio stipula il contratto per due dipinti di storie per la cappella Contarelli di S. Luigi dei Francesi. – 1600 – Durante il mese di settembre stipula il contratto per due dipinti per la cappella di famiglia di Tiberio Cerasi a S. Maria del Popolo. – 1602-03 ca. Incarico per il quadro d’altare per la cappella di famiglia di Girolamo Vittrice nella Chiesa Nuova degli Oratoriali, S. Maria in Vallicella. – 1603 – In agosto il pittore Giovanni Baglione denuncia i pittori Caravaggio, Orazio Gentileschi, Filippo Triregni e l’architetto Onorio Longhi per aver diffuso dei versi diffamatori sul suo conto. L’11 settembre Caravaggio viene incarcerato. Il 25 settembre è messo in libertà grazie all’intervento dell’ambasciatore francese. – 1604 – Nuova incarcerazione in ottobre per uno scontro con alcuni sbirri. – 1605 – In maggio viene incarcerato per detenzione illegale di armi. In luglio è accusato del ferimento del notaio Mariano Pasqualone con un fendente sul volto e fugge a Genova. In agosto torna a Roma e riceve l’incarico per la Chiesa di S. Anna dei Palafrenieri. – 1606 Il 28 maggio uccide un compagno di gioco durante una partita a palla. Fugge nei possedimenti del principe Marzio Colonna. Dall’ottobre risiede a Napoli. – 1607 – Dal mese di luglio, soggiorna a Malta. – 1608 – Il 14 luglio è accolto nell’Ordine di Malta. Nel dicembre è espulso dall’Ordine e fugge in Sicilia. – 1609 – In ottobre, a Napoli, viene aggredito e ferito in volto. – 1610 – Il 18 luglio colpito da malaria muore sulla spiaggia a Porto Ercole. L’ultimo atto della vita di un genio viene cosi descritto da un biografo:

2)        “Postosi in furia, come disperato andava per quella spiaggia sotto la sferza del sol leone a veder se poteva in mar ravvisare il vascello che le sue cose portava. Ultimamente arrivato in un luogo della spiaggia, misesi in letto con febbre maligna, e senza aiuto umano tra pochi giorni morì malamente, come appunto male aveva vivuto. Stranamente, la notizia della morte giunge a Roma solo dieci giorni dopo, il 28 luglio, e per una beffa del destino, il 31 luglio si apprende che il provvedimento di grazia era già stato firmato da papa Paolo V.

Note:

2)-8)-9)-10)-11)-12)-13). L’ultimo Caravaggio “Il Martirio di Sant’ Orsola confitta dal tiranno” restaurato Collezione Banca Intesa Electa S.p.a. Martellago (VE) 2004.

3). Bologna Ferdinando, storico dell’Arte (L’Aquila 1928), ha lavorato alla Biblioteca Nazionale di Napoli e insegnato storia dell’arte nelle università di Salerno, Messina, Napoli. Collaboratore delle maggiori riviste specialistiche Italiane, Francesi e Inglesi, sulle quali ha pubblicato numerosi saggi, ha scritto fra l’altro: Francesco Solimena (1958), Settecento Napoletano (1962), la pittura italiana delle origini (1962), I pittori alla Corte Angioina di Napoli (1969).

4). Cavallino Bernardo, pittore ( Napoli 1616-1656), le sue opere si trovano nei maggiori musei del mondo. La sua pittura ebbe l’influenza del Tiziano del Rubens del Caravaggio il suo dipinto più famoso firmato è datato 1645, Santa

Cecilia ( Firenze, Palazzo Vecchio), che costituisce il momento più alto della sua opera. Negazione e liberazione di Pietro, ( Napoli, chiesa dei Gerolomini ). Santa Cecilia, Giuditta, Cantalice, ( Museo Nazionale Capodimonte ). Gesù che scaccia i mercanti, ( National Galleri di Londra ). Ester e Assuero agli Uffizi di Firenze. Assunta, ( Pinacoteca di Brera ).

5). Longhi Roberto, storico e critico d’Arte ( Alba 1890 – Firenze, 1970 ), svolse un’immensa mole di lavoro sulla base di una straordinaria esperienza di “conoscitore” e di notevole capacità letterarie fondatore e direttore di tante riviste d’Arte. Illuminò e ricostruì grandi personalità di artisti, a cominciare da Caravaggio. Maestro di un’intera generazione di giovani critici, lasciando una traccia fortissima nella storia della critica italiana.

6). Manfredi Bartolomeo, pittore ( Ostiano, Cremona 1580 – Roma,  1620 ) si accostò al Caravaggio, della cui opera innovatrice colse gli aspetti più esteriori congelando il realismo e il luminismo.

7). Preti Mattia, pittore ( Taverna, Catanzaro 1613 – La Valletta, Malta, 1699 ) Caravaggista (forse conobbe il lombardo durante il suo primo soggiorno napoletano) molti affreschi si trovano in chiese romane (1656-60) si possono ammirare sue opere in San Pietro a Maiella.  Il figliuol  prodigo, ( Napoli, Palazzo reale ). Resurrezione  di  Lazzaro,  (Roma, Galleria Corsini ). Si Stabilì a Malta come pittore ufficiale dei Cavalieri dell’Ordine decorò la cattedrale di S. Giovanni a La Valletta con storie del Battista. Mattia Preti è ricordato come una delle personalità chiave della pittura del Seicento napoletano.

Bibliografia essenziale.

Bologna Ferdinando, Identificazione del dipinto (e i rapporti artistici fra Genova e Napoli nei primi decenni del Seicento), 1980.
Pacelli Vincenzo
, Caravaggio 1610: la “Sant’Orsola confitta dal tiranno” per Marcantonio Doria, in “ Prospettiva , XXXIII, 1980, 23, pp. 30-45.
Eberhard Konig
,  Michelangelo Merisi da Caravaggio 1571- 1610 KONEMANN  Milano 2000.
Pacelli Vincenzo
, L’ultimo Caravaggio, Napoli 2002.
Roma-Milano-Vicenza: cat. mostra, L’ultimo Caravaggio: il “Martirio di Sant’Orsola restaurato, Milano 2004.

Mariano Pastore

10 commenti su “Il “Martirio di S. Orsola” del Caravaggio ritrovato a Eboli”

  1. Bravo Mariano Pastore e bravo Del Mese che da lo spazio a queste cose interessantissime. Squarci di storia raccontati e presentati bene. Credo che l’auspicio di admin sia da perseguire.

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  2. La storia di Eboli è veramente interessante, peccato che sia finita così in basso, con tutta questa gentucola che continua a distruggerla.

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  3. Mi sento raggiante per la scoperta CERTIFICATA di un opera del GRANDE CARAVAGGIO, nella nostra piccola Città,il che conferma la nobile schiatta storica a cui apparteniamo, e che parzialmente lenisce il plumbeo presente! DOVREMMO RINGRAZIARE TUTTI IL dott. PASTORE CHE CI RICORDA SOLO FATTI E D OPERE GLORIOSE DELLA NOSTRA TERRA. N.B. NATURALMENTE ESTENDO IL TUTTO ANCHE ALLO STAFF DI POLITICAdeMENTE, PER LA SENSIBILITA’ CULTURALE DIMOSTRATA DA SEMPRE.

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  4. Voglio ringraziare di cuore le persone che leggono i miei articoli, sono tutti estrapolati da vecchi libri in mio possesso comprati in librerie di testi antichi, niente è inventato, lo dimostrano le note che li accompagnano.
    Ringrazio l’avv. Marco Naponiello, per il “dott.” che avviso che per l’altra vita farò di tutto per diventarlo.

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  5. Il sig Pastore, e non dottore, come egli stesso dice, è stato bravissimo e immagino dispendiosissimo fare roicerche a proprie spese, ma la passione arriva dove decine di lauree non arriveranno mai. Complimenti ed auguri per il lavoro svolto e quello che svolgerà ancora. Complimenti anche a Massimo Del Mese, che da tutto lo spazio per questiargomenti e queste iniziative. Una scelta editoriale molto coraggiosa.

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  6. Lei la merita come minimo “ad honorem” infatti Lo afferma giustamente, in maniera surrettizia Rodolfo.Opere meritorie le Sue e strabocchevoli di passione,cosa rara ai nostri tempi e penso anche si sia avvalso della collaborazione storica del prof. Carlo Manzione, che ci fan dimentichi per un momento delle miserie odierne, e ci rimembrano da dove veniamo e cosa possiamo divenire, con la ricchezza territoriale allocataci. SIAMO TUTTI AD ELLA RICONOSCENTI, UN GRAZIE SENTITO.

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  7. Bellissimo lavoro di Mariano Pastore su Caravaggio,completo sia per la attenta biografia dell’Autore che per le vicissitudini del dipinto,così appassionatamente ricercate e descritte.
    Liliana Del Mese

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  8. Complimenti sig. Mariano, per l’esaustiva presentazione e divulgazione, sapevo dell’esistenza dell’opera ma grazie a lei ora ne conosco anche la storia delsuo “ritrovamento”.: Spero in futuro di poterlo ammirare in un contesto espositivo.

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