Età pediatrica: Psicofarmaci in aumento. Serve un approccio integrato

Salute. Prescrizione di Psicofarmaci in aumento in età pediatrica rispetto al 2023 del 24%. Usi e consumi prevalentemente raddoppiati dal 2016 al 2024: “Serve un approccio integrato”.

Uso psicofarmaci

di Monica Panetto Mondo Salute POLITICAdeMENTE

PADOVA – Nell’ultimo RAPPORTO dell’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA), un aspetto in particolare non è passato inosservato: negli ultimi dieci anni in Italia la prescrizione di psicofarmaci è aumentata in modo significativo in età pediatrica.

A raccogliere e analizzare i dati relativi all’uso dei farmaci nel nostro Paese è l’Osservatorio Nazionale sull’Impiego dei Medicinali (OsMed), che nel caso specifico offre un quadro articolato. Partiamo dal contesto: nel 2024, quasi il 51% della popolazione pediatrica, dunque circa 4,6 milioni di persone, ha ricevuto almeno una prescrizione farmaceutica. Gli antinfettivi sono risultati i medicinali più utilizzati, seguiti dai farmaci dell’apparato respiratorio. I farmaci per il sistema nervoso centrale, come antiepilettici, antipsicotici, antidepressivi e psicostimolanti, si collocano al quarto posto.

Entriamo ora più nel dettaglio. Dal 2016 al 2024 sono più che raddoppiati sia la prevalenza d’uso che i consumi di psicofarmaci, cioè sia il numero di persone che hanno ricevuto almeno una prescrizione, sia la quantità di confezioni distribuite. Se infatti nel 2016 si registrava una prevalenza d’uso pari allo 0,26% nella popolazione pediatrica (20,6 confezioni per 1.000 persone), nel 2024 la quota sale allo 0,57% (59,3 confezioni per 1.000 persone). Il ricorso agli Psicofarmaci aumenta con l’età: nella fascia tra i 12 e i 17 anni si registra una prevalenza d’uso dell’1,17% e un consumo di 129,1 confezioni per 1.000 adolescenti.

I farmaci più prescritti risultano essere gli antipsicotici (in particolare aripiprazolo e risperidone), gli antidepressivi (sertralina, fluoxetina) e farmaci per l’ADHD-Attention Deficit/Hyperactivity Disorder (metilfenidato e atomoxetina). Questi ultimi in particolare registrano l’aumento maggiore delle prescrizioni rispetto al 2023, pari al 24,9%, mentre il consumo degli antidepressivi rimane pressoché stabile con un incremento dello 0,1%. Gli antipsicotici restano invece in generale i più utilizzati con una prevalenza d’uso dello 0,32%, e un aumento dell’8,6% rispetto al 2023.

I risultati del rapporto OsMed risultano essere in linea con altri studi internazionali, che evidenziano una generale tendenza all’aumento dei tassi di prescrizione di questi medicinali in tutti in Paesi del mondo, soprattutto in seguito alla pandemia di Covid‐19.

Per capire quali siano le ragioni alla base di questo andamento, abbiamo approfondito l’argomento con Filippo Caraci, coordinatore del gruppo di lavoro sulle malattie neurodegenerative della Società Italiana di Farmacologia (SIF) e professore di farmacologia all’Università di Catania.

ilboolive-uso Psicofarmaci in europa

Tra 2016 e il 2024 si assiste a un significativo aumento nelle prescrizioni di psicofarmaci in età pediatrica. Come vanno interpretati i dati? Si possono ipotizzare le cause che stanno alla base di questo incremento?

La prevalenza d’uso degli psicofarmaci è raddoppiata, ma resta ben al di sotto delle medie europee. L’incremento riguarda farmaci che devono essere prescritti e monitorati, nel rispetto dell’appropriatezza terapeutica: penso, ad esempio, al metilfenidato nel caso dell’ADHD o all’aripiprazolo nei disturbi psicotici, che nell’infanzia e nell’adolescenza richiedono un processo diagnostico attento e complesso.

Le ragioni alla base di questo aumento sono verosimilmente da ricercarsi in un miglioramento dei processi diagnostici e in una maggiore e più appropriata presa in carico delle persone affette da tali disturbi.

È tuttavia importante sottolineare che queste condizioni richiedono un approccio multimodale, nel quale la terapia farmacologica deve essere inserita all’interno di un percorso assistenziale più ampio, che comprenda anche interventi non farmacologici. Per esempio, il coinvolgimento delle famiglie, attraverso interventi di psicoeducazione, assume un ruolo centrale. Non possiamo ragionare dunque solo sull’incremento d’uso del farmaco, ma dobbiamo analizzare il fenomeno. Lo affermo da farmacologo, senza dimenticare la mia specializzazione in psichiatria.

Puntare sulla prevenzione in termini di sostegno psicologico, supporto familiare e scolastico, potrebbe contribuire a ridurre l’uso del farmaco?

Ho sempre pensato che l’approccio farmacologico e quello psicoterapico debbano integrarsi, potenziarsi reciprocamente. L’intervento farmacologico deve essere innestato all’interno di un’attenta valutazione neuropsicologica che precede l’inizio del trattamento farmacologico, lo segue e lo monitora nel tempo. L’approccio che deve prevalere è quello della presa in carico longitudinale di chi soffre di questi disturbi.

Consideriamo a titolo di esempio l’ADHD: il metilfenidato è un farmaco efficace, sicuro, ben studiato, con tassi di risposta fino all’80%. La risposta al farmaco, in ogni caso, deve essere integrata con altri tipi di intervento, per esempio la psicoterapia cognitivo-comportamentale. Inoltre è importante che psicologhe e psicologi nelle scuole aiutino a sensibilizzare insegnanti e famiglie sulla diagnosi precoce del disturbo, perché questo permette una presa in carico più efficace da parte dei servizi.

Proprio il metilfenidato, stando ai dati del rapporto OsMed, risulta uno dei farmaci che registra l’aumento maggiore nelle prescrizioni…

Dal punto di vista strettamente farmacologico, uno psicostimolante come il metilfenidato funziona bene ed è efficace. Ed è per questa ragione che l’aumento del 24,9% delle prescrizioni non viene considerato un segnale d’allarme: indica piuttosto che il farmaco viene usato di più perché è appropriato ed efficace, soprattutto nei disturbi per cui è indicato, come l’ADHD.

Diverso il discorso per antipsicotici come l’aripiprazolo. In questo caso l’incremento delle prescrizioni dipende piuttosto dal fatto che si stanno osservando più casi di disturbi psicotici, soprattutto dopo la pandemia. In adolescenza, inoltre, l’aumento è legato anche a nuovi fattori di rischio, in particolare l’abuso di cannabis.

Il ricorso agli psicofarmaci aumenta con l’età, interessando soprattutto la fascia tra i 12 e i 17 anni. Quali fattori spiegherebbero questo andamento?

In collaborazione con i clinici, abbiamo visto che nuovi fattori di rischio incidono sull’aumento dell’incidenza e della prevalenza delle psicosi. Quando parlo di psicosi, mi riferisco a disturbi che tipicamente insorgono tra i 16-17 anni. Tuttavia, l’abuso di cannabis ad alto contenuto di THC già tra i 14 e i 15 anni può aumentare il rischio e favorire un esordio psicotico più precoce.

Si parla ancora poco dell’azione neurotossica delle sostanze d’abuso. La distinzione tra droghe “leggere” e “pesanti” ormai è superata. Non possiamo definire la cannabis una droga leggera solo perché non dà sempre un quadro astinenziale. Una singola dose ad alto THC può ridurre il funzionamento cognitivo, causando un calo di QI compreso tra 8 e 14 punti. E se il danno cognitivo è dimostrato, immaginiamo cosa accade quando si manifesta un esordio psicotico: la fase acuta può anche risolversi, ma il deficit cognitivo spesso persiste e accompagna l’adolescente nel tempo.

Oggi sappiamo che gli antipsicotici possono essere usati anche nell’infanzia e nell’adolescenza, ma solo se si utilizzano farmaci ufficialmente approvati per quell’età e per quelle indicazioni. Per questo motivo l’aumento delle prescrizioni di aripiprazolo e risperidone non è particolarmente preoccupante: sono gli unici antipsicotici studiati e autorizzati per l’uso in quella fascia d’età, quindi il loro impiego rientra nelle regole dell’appropriatezza terapeutica e della  buona pratica clinica. Ora è disponibile anche il lurasidone, approvato più recentemente per gli adolescenti, ma per il momento non si osserva un aumento significativo delle prescrizioni di tale farmaco.

Come ha inciso la pandemia sul benessere psichico di chi è più giovane e, di conseguenza, sul ricorso a psicofarmarci?

Lo stress cronico, l’isolamento e tutto ciò che ha portato con sé la pandemia tra marzo 2020 e giugno 2021, hanno determinato nei soggetti vulnerabili l’esordio di fenotipi depressivi di vario grado. E in alcuni casi abbiamo osservato quadri resistenti al trattamento farmacologico con antidepressivi di seconda generazione approvati per l’età adolescenziale, penso per esempio alla fluoxetina o alla sertralina. Si tratta di quadri depressivi in cui i giovani hanno sofferto non solo di sintomi affettivi, quindi calo del tono dell’umore, ma anche di disturbi cognitivi.

Questo aumento di incidenza della depressione nell’adolescenza, accompagnato da una minore responsività ai farmaci, rende ancora più evidente la necessità di un intervento multimodale, che integri farmacoterapia e psicoterapia in questa fascia d’età delicatissima.

È aumentata quindi non solo la prevalenza dei disturbi psicotici, ma anche quella dei disturbi depressivi, che non sempre si risolvono entro 6–12 mesi. In questo contesto è essenziale il ruolo del neuropsichiatra infantile e dello psichiatra — in particolare nella delicata fase di transizione tra i 16–17 e i 18–20 anni — così come quello del farmacologo, chiamato a collaborare con i clinici non solo nel rispetto dei principi di appropriatezza terapeutica, ma anche nella presa in carico longitudinale del paziente.

Lei insiste sul concetto di approccio multimodale e appropriatezza terapeutica…..

L’appropriatezza terapeutica, oggi, rimane la sfida principale in farmacologia. Significa prescrivere un farmaco secondo le indicazioni approvate, rilasciate dagli enti regolatori sulla base di evidenze scientifiche chiare, provenienti da studi clinici controllati. Il monitoraggio dell’appropriatezza terapeutica non deve più essere considerato compito esclusivo di medici e mediche, poiché anche il farmacista ha un ruolo centrale: in sinergia con i clinici, deve valutare l’appropriatezza di una prescrizione, verificandone la coerenza con le indicazioni autorizzate e prestando attenzione ai potenziali rischi di interazioni farmacologiche, soprattutto nel trattamento a lungo termine.

In questo senso considero molto positivo il dialogo tra chi lavora in ambito medico e chi opera invece nel settore farmaceutico. Nella presa in carico di persone in età pediatrica è importante supportare le famiglie, spiegando loro il meccanismo d’azione dei farmaci prima dell’atto prescrittivo e chiarendo il senso dell’appropriatezza terapeutica.

In che misura un cambiamento culturale nella percezione dei disturbi psichiatrici – caratterizzato da maggiore attenzione, riduzione dello stigma e aumento delle famiglie che cercano supporto – può aver influenzato la segnalazione di tali disturbi?

È una bella domanda, ma non sempre le belle domande hanno belle risposte. Credo ci sia una leggera riduzione dello stigma: le famiglie cercano più spesso l’aiuto psichiatrico, ma non quanto ci aspetteremmo. Si tende ancora a nascondere il disturbo depressivo, così come il sintomo psicotico o i sintomi psicotici insorti dopo abuso di THC o di crack. Ci sono inoltre molti catinoni sintetici che stanno creando nuovi quadri clinici.

Un tema su cui noto invece un grande interesse da parte di famiglie, scuole e giovani è la neurotossicità delle sostanze d’abuso. Quando si spiega che una sostanza d’abuso può far diminuire il quoziente intellettivo, l’attenzione aumenta. Forse rimane lo stigma sulla depressione, sulla schizofrenia, sui sintomi psicotici; un po’ anche sull’ADHD, sebbene stia diminuendo. Ma quando si parla di disturbo cognitivo, lo stigma si riduce: c’è una maggiore attenzione su questo tema e, insistendo proprio su questo punto, si può ragionevolmente sperare in una maggiore aderenza ai trattamenti farmacologici sempre, lo ripeto, nel rispetto dei principi dell’appropriatezza terapeutica.

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