Nel 2026 arriva la svolta: Esami medici in Farmacia rimborsati dal SSN

Tra sanità di prossimità e rischi da misurare, arriva la svolta che divide e interroga. Dal 2026 le farmacie diventano presìdi del SSN: esami, telemedicina e prestazioni rimborsate. Un cambiamento che promette accessibilità e rapidità, ma che solleva interrogativi su qualità, controlli, costi e soprattutto tutela della salute pubblica.

di Marco Naponiello per PoliticaDemente – il blog di Massimo Del Mese

ROMA – Dal 2026 vai in scena un grande cambiamento collettivo, ovvero fare un elettrocardiogramma, un holter cardiaco o pressorio, una spirometria – e in prospettiva anche altri esami – potrebbe diventare normale quanto entrare in farmacia. La Legge di Bilancio trasforma infatti quasi 20mila farmacie italiane in presìdi stabilmente integrati nel Servizio Sanitario Nazionale, segnando uno dei cambiamenti più rilevanti degli ultimi anni nel rapporto tra cittadini e sanità pubblica.

Sul piano delle opportunità, il messaggio è chiaro: portare la sanità più vicino alle persone. Farmacie come avamposti territoriali, soprattutto nei piccoli comuni e nelle aree interne, possono ridurre liste d’attesa, alleggerire ospedali e ambulatori, offrire risposte rapide a chi oggi rinuncia a curarsi per tempi troppo lunghi o distanze eccessive. Per i contribuenti, almeno in teoria, significa servizi più accessibili a parità di diritto, con prestazioni rimborsate dal SSN su prescrizione medica.

C’è poi il tema della prevenzione: screening, controlli periodici, monitoraggi continui. Un sistema diffuso può intercettare prima patologie silenziose e ridurre, nel lungo periodo, i costi sanitari legati alle cure tardive. In questo senso, la sanità di prossimità non è solo una scelta organizzativa, ma una strategia di sistema.

Ma accanto alle luci, le ombre sono tutt’altro che marginali. Come evidenziato dall’inchiesta di Milena Gabanelli e Simona Ravizza, il passaggio decisivo è avvenuto quando, nel testo finale della manovra, è scomparso l’obbligo per le farmacie di rispettare gli stessi requisiti strutturali, tecnologici e di controllo degli ambulatori pubblici e privati.

Una scelta politica che rinvia tutto a future linee guida ministeriali, ancora da definire.

Il rischio è duplice. Da un lato, quello della qualità delle prestazioni: alcuni test, come i cosiddetti “pungidito”, presentano margini di errore significativi e non producono referti diagnostici ma semplici attestazioni. In un sistema che corre, il cittadino potrebbe non essere pienamente consapevole della differenza. E quando si parla di salute, l’ambiguità è un lusso che non ci si può permettere.

Dall’altro lato c’è il nodo dei costi. Il plafond nazionale – 50 milioni di euro – rischia di esaurirsi rapidamente, anche perché molte prestazioni vengono rimborsate alle farmacie a tariffe superiori rispetto a quelle riconosciute alle strutture pubbliche. Quando i fondi finiscono, il rischio concreto è che il cittadino si ritrovi a pagare di tasca propria, magari senza saperlo prima. Un cortocircuito che colpisce non solo le tasche, ma la fiducia stessa nel sistema sanitario pubblico.

E poi c’è la questione centrale, quella che viene prima di tutto: la salute. Prima ancora dell’equilibrio economico, prima dell’efficienza organizzativa, prima della comodità. Ogni riforma sanitaria dovrebbe essere valutata con una domanda semplice e radicale:

migliora davvero la tutela della salute dei cittadini? E lo fa in modo uniforme, sicuro, controllato?

La riforma delle farmacie può rappresentare un passo avanti importante, ma solo se accompagnata da regole chiare, controlli stringenti, trasparenza sui costi e piena informazione ai cittadini. Senza questi presìdi, il rischio è che la sanità di prossimità diventi una sanità a geometria variabile, dove l’accesso è facile ma le garanzie meno solide.

Perché innovare è necessario. Ma quando si parla di salute, l’innovazione non può mai essere una scorciatoia.

Roma, 22 dicembre 2025

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