Dalla “stele Eburina” Eburum è Municipio Romano dal 183 d.c.

Il riconoscimento della municipalità romana è la prova di una civiltà evoluta.

Il Museo affianchi la traduzione al piedistallo e contatti il Liceo Artistico per “animare” i ritrovamenti.

EBOLI – L’iscrizione su di una pietra del II secoli d. c. dimostra la minicipalità romana di Eboli. La “Pietra” era il piedistallo di un statua  che il popolo Eburino volle erigere in onore di Tito Flavio Silvano. La famosa stele è un documento prezioso che dimostra senza alcun dubbio che l’antica Eburum era una comunità progredita ed aveva una sua importanza nell’economia dell’epoca vuoi per la sua posizione che dalle pendici del “Montedoro” si affacciava sulla fertile pianura del fiume sele.

Nell’antica Roma l’elevazione a “municipio” romano veniva dato a centri  abitati, che oltre alla provata fede avessero un vita sociale riconosciuta elevata, ma anche per il numero di abitanti e per le capacità di adempiere a molteplici funzioni economiche, politiche, culturali, religiose, che avesse un territorio esteso  che fosse in grado di fornire una serie di servizi pubblici, che fosse dotato strade, monumenti, fortificata con muri e munita di porte, con abitanti dediti al lavoro, all’agricoltura con mare e un porto proprio a servizio del suo territorio. Il porto ebolitano si chiamava “Alburno”.

Gli abitanti di Eburum pur godendo degli onori conferiti dalla cittadinanza Romana, si governavano, fin dai tempi delle guerre con i Sanniti e quelle con Taranto e Pirro,  con proprie leggi. Questo riconoscimento testimoniato dalla “stele”, lascia presagire che la comunità degli Eburini, per raggiungere un grado così elevato di civiltà fosse una comunità con radici ben più lontane del secondo secolo d.c.

In ogni caso già trovare con certezza le proprie origini così lontane è un motivo di orgoglio, che dovrebbe far riflettere anche sui comportamenti e su tutte le conseguenze che una civiltà moderna possa e debba mettere in campo. Una comunità con queste origini, dovrebbe rimboccarsi le maniche e far valere le proprie ragioni non per sopraffare gli altri ma per essere di esempio e almeno per non essere sopraffatti, come spesso è accaduto nel corso dell’ultimo secolo.

Valorizzare le proprie tradizioni e vantare le proprie origini non è un sbruffonata e grazie alla “stele Eburina”, è più facile farlo. Sarebbe ancora meglio se si mettesse ben in evidenza anche sul Museo quella  “Pietra“, non limitandosi solo alla scrittura che ne indichi sterilmente il nome, ma facendo anche uno sforzo e affiancare una traduzione, semmai con un disegno che possa riprodurre il piedistallo con la statua di Tito Flavio Silvano. La pietra per definizione è un materiale inerte ma quando, come in questo caso, rappresenta un documento storico diventa portatrice di vita.

Sarebbe il caso che i responsabili del Museo, prendessero i dovuti provvedimenti e contattassero il Liceo Artistico per coinvolgerlo a rendere quel luogo, visitato da pochissimi, più animato.

…………….  …  ……………..

di Mariano Pastore

stele eburina
stele eburina

Un documento prezioso impresso su pietra, che per oltre diciannove secoli resistendo a tutti gli inesorabili danni del tempo, prova con certezza che Eboli l’antica Eburum, sorta sulle alture del Montedoro, a nord-ovest dell’attuale città, fin dal secondo secolo dopo Cristo, era centro di una comunità progredita ed elevata già alla dignità di Municipio Romano. La prova documentale è costituita da una pietra di media dimensione (la si può ammirare all’entrata del Museo Archeologico al lato destro dello scalone di accesso), che servì da piedistallo ad una statua eretta dal popolo Eburino in onore di Tito Flavio Silvano.

La scritta impressa sulla pietra è di grande importanza storica, evidenzia l’alto stato sociale raggiunto dalla nostra città al pari di tanti altri Municipi, governandosi con proprie leggi e con l’istituzione di tutte le cariche che appartenevano ad una comunità veramente devota e perciò benvoluta dalla grande Roma Imperiale. L’iscrizione sulla facciata anteriore della pietra fu oggetto di studio e di interpretazione da parte di valenti studiosi di archeologia tra questi anche alcuni illustri concittadini: Antonio Romano e Giuseppe Augelluzzi.

La Pietra si trovava incuneata nel basamento del campanile della chiesa di Santa Maria ad Intra, retta in quel tempo dal parroco Luigi Romano (fratello dell’archeologo Antonio) il quale invitò ad Eboli mons. Lupoli, Arciprete di Conza celebre archeologo, per studiare e tradurre l’iscrizione, correva l’anno 1823. Mesi dopo, il prelato la pubblicò con altre iscrizioni presso la stamperia  Morelli e Bini in Napoli, facendo notare le lacune della scrittura riscontrate sulla pietra. Quasi in contemporanea con la pubblicazione del Lupoli, un altro studioso di archeologia, Raimondo Guarini, dette alle stampe una monografia dell’epigrafe; il lavoro, anche se fatto con diligenza, risultò manchevole per l’inesatta copia della scritta dovuta a qualche inesperto copista. Dopo queste pubblicazioni, che avevano cercato di dare un’interpretazione alle lettere ed alle parole mancanti, Antonio Romano, socio corrispondente dell’Istituto Archeologico di Roma, nell’anno 1836 condusse un attento studio corredato di una parte storica riferita agli usi ed ai costumi di Roma Imperiale, arrivando ad una traduzione più completa del prezioso documento, ma solo nell’anno 1861 si trovò la decifrazione della dicitura e la sostituzione delle sillabe mancanti maggiormente attendibili. L’annoso problema ebbe fine con la venuta ad Eboli del celebre storico tedesco Teodoro Mommsen che risolse il dilemma delle sillabe e delle parole che mancavano studiando la pietra sul posto.

Sulla lapide si legge:

L.  D.  D.  D.

T.  FL. T.  F.  FAB.  SILVANO.  PATR.  MVN.

EBVR.  II.  VIR.  II.  QQ.  QVEST.  ARK.  CVR.

REI.  FRVMENT.  HVIC.  COLL.  DEND.

ROPHORR.  OB.  EXIMIAM.  ERGA.

SE.  BENIVOLENTIAM.  ET.  SPEM.  PER

PETVAM.  STATVAM.  DIGNISSIMO.

PATRONO.  POSVERVNT.  CIVIS.  STA

TVAE.  HONORE.  CONTENTVS.  OB

TVLIT.  COLL.  SS.  HS.  VIII.  M.  N.  VT.  QVOTANNIS.

NATALI.  EIVS.  DIE.  III.  IDVVM.  DECEMBR.

CON.  FREQVENTENT.  ( EIVS ) STATVAE.  DE

DICATIONEM.  CON.  ( II.  VIR.  I.  D.  SING. ) HS.  XX.  N.

QQ.  II.  VIR.  AEDILIC. S ( ING. HS.  XX  N.) ET.  CETE

RIS.  CON.  DEC.  SING.  HS.  ( XV.  N.  VI. VIR ) IS.  AVGVS

TALIB.  HS.  XII.  N.  COLL.  DENDROPHORR.  ET.

FAB.  SING.  HS.  MILLE.  N.  ET.  EPVLVM.

PLEBEIS.  SING.  HS.  XII.  N.  ET.  VISCERATIONEM.

DEDICATA.  IV.  KAL.  APRIL.

…..  MARC.  STLACCIO.  V.  A.

…..  STEIAN. (1)

Traduzione:

Luogo assegnato per Decreto dei Decurioni.

A Tito Flavio Silvano, figlio di Tito della Tribù Fabia, Patrono del Municipio degli Eburini, Duumviro, e indi per la seconda volta Quinquennale, Questore della pubblica Cassa, e Curatore dell’Annona. A costui il Collegio dei Dendrofori, per la grande benevolenza e perpetua speranza verso di sé, eresse una statua qual degnissimo Patrono. Egli, contento dell’onore fattogli, offrì al Collegio suddetto ottomila sesterzii. Affinché poi, ogni anno ai tre degli Idi di dicembre, giorno di sua nascita, in radunanza, si celebrasse la dedicazione della di lui statua, assegnò a ciascun Duumviro di Giustizia sesterzii venti, e altrettanti sesterzii a ciascuno dei Duumviri quinquennali con la potestà edilizia. Ed agli altri in tal guisa: assegnò a ciascuno dei Decurioni sesterzii quindici, ai Sestumviri Augustali sesterzii dodici, al Collegio dei Dendrofori e dei Fabri sesterzii mille ciascuno ed un banchetto. A ciascuno dei plebei sesterzii dodici ed una viscerazione.

Dedicata ai quattro delle Calende di Aprile, essendo Consoli Marco Stlaccio e Vezio Albino.

Decurioni: Nell’antica Roma, il decurione era a capo di dieci divisioni della Curia. Nei Municipii e nelle Colonie avevano la stessa dignità dei Senatori in Roma, essi eleggevano i Magistrati ed i decreti che emanavano avevano lo stesso potere dei decreti Senatoriali Romani.

Eburum: Municipio romano secondo Plinio gli Eburini era un popolo lucano, nella sua opera si legge: …..Lucanorum autem Atinates, Bantini, Eburini, Grumentini Potentini, Sontini, Sirini, Tergillani, Ursentini, Volcentani.

Stele eburina Museo Archeologico di Eboli
Stele eburina Museo Archeologico di Eboli

Municipio: Nell’antica Roma veniva dato a centri di provata fede a lei fedeli con vita sociale notevole sia per il numero di abitanti sia per le capacità di adempiere a molteplici funzioni economiche, politiche, culturali, religiose, esteso territorialmente e fornito di servizi pubblici, dotato di porte, mura, strade, monumenti, e abitanti dediti all’agricoltura con mare e porto nel territorio. Il porto ebolitano si chiamava “Alburno”. Gli abitanti di Eburum godevano tanto degli onori quanto della Cittadinanza Romana, governandosi con proprie leggi fin dai tempi delle guerre con i Sanniti e quelle con Taranto e Pirro.

Patrono: Il Patrono era il difensore e protettore dei Municipi, delle Colonie e delle Città Confederate presso il governo centrale di Roma. Il titolo di Patrono era dato per lo più a uomini illustri e autorevoli dello stesso Municipio o Colonia oppure di Roma. Spesso provenivano dall’ordine Equestre o Senatorio o figli dei personaggi più influenti delle città.

Augustali: nella Roma imperiale, membri del collegio sacerdotale addetto al culto di Augusto e di altri imperatori morti e divinizzati. Furono creati dall’Imperatore Tiberio per curare i Templi edificati in onore di Augusto. In seguito, per tutto l’Impero furono eretti Templi ed Altari con un Collegio di Sacerdoti Augustali e questo si verificò anche nel Municipio di Eburum.

Dendrofori: Parola che tradotta dal greco al romano significa Arbor, Lignum. Collegio i cui componenti curavano travi ed ogni altro legno che serviva alla costruzione di macchine militari e di imbarcazioni, perciò molto beneficiato da Tito Flavio Silvano, a cui per gratitudine fu eretta una statua collocata innanzi ai locali del Collegio di Eboli.

Sesterzii: Piccola moneta romana originariamente d’argento poi di bronzo, di età repubblicana la sua coniazione cessò nel III secolo d.c.

Quinquennali: Erano i Magistrati delle Colonie e dei Municipi, dove esercitavano le stesse funzioni dei Censori Romani. La cura principale dei Quinquennali era la vigilanza, dovevano censire (tavole censorie) e annotare nell’albo i nomi dei Decurioni. La loro carica durava cinque anni.

Duumviro: nell’antica Roma, ognuno degli appartenenti al collegio di magistrati era composto da due membri. Durava in carica cinque anni, era Questore della pubblica Cassa e curatore dell’Annona, quindi Eburum era sede di Questura.

Annona (cura frumentaria): Nell’antica Roma, insieme delle derrate distribuite periodicamente al popolo. Ai tempi di Eburum i locali dove si conservavano i granai dell’Annona erano situati al Borgo, precisamente alla via Spirito Santo, e ancora si potevano ammirare le porte dei magazzini e la sede del Collegio nella seconda metà del diciannovesimo secolo (si ha notizia del loro abbattimento nell’anno 1870).

Viscerazione: La viscerazione era un banchetto sacro fatto con le viscere e la carne di un animale che veniva sacrificato e che si distribuiva ai presenti dei sacrifici solenni.

La statua di Tito Flavio Silvano fu eretta davanti all’edificio del Collegio dei Dendrofori che si trovava al posto della chiesa di Santa Maria ad Intra, infatti, prima dei restauri del XIX sec. erano visibili parti dei pilastri del porticato all’entrata della chiesa e nel soffitto l’ossatura della volta costruita a mattoni.

Non si conosce l’anno in cui la statua fu innalzata, né la pietra indica una data. La stele appartiene all’epoca imperiale, perché l’uso della parola Curatore, nell’epigrafe riferita a Silvano, patrono del Municipio Eburino, si rapportava al Magistrato dei Municipi e delle Colonie che prima di tale epoca esisteva solo in Roma con titolo di Prefetto (carica creata quando il bisogno lo richiedeva); fu Cesare Augusto che istituì il Magistrato nelle Colonie e nei Municipi.

Gli studiosi hanno datato presumibilmente l’evento nel 183 d.C. sotto l’Imperatore Commodo, quando Marco Stlaccio era console.

La stele era murata nel campanile della chiesa di Santa Maria ad Intra ed era di proprietà di quella parrocchia; venne acquistata dal Comune di Eboli nel 1903, per L. 450 dal Parroco Colasante con delibera comunale nr. 4535 del 18 Giugno 1903, venne tolta dalla base del campanile solo nell’anno 1918 e trasportata nell’ampio salone municipale dove rimase fino al termine della seconda guerra mondiale, durante la quale venne distrutto il Municipio, ma la stele si salvò e venne trasportata nei locali della Biblioteca Augelluzzi nella scuola elementare Vincenzo Giudice dove è rimasta fino all’apertura del Museo Archeologico nel complesso Monumentale di S. Francesco. (2)

(1) Le lettere fra parentesi tonde in grassetto sono quelle che, mancavano nella pietra perché corrose.

(2)Eboli municipio romano in una iscrizione del II secolo.

Eboli 11 gennaio 2010

di Mariano Pastore

7 commenti su “Dalla “stele Eburina” Eburum è Municipio Romano dal 183 d.c.”

  1. Ottimo lavoro di Mariano Pastore sulla stele del Museo Archeologico di Eboli.Anche ad Atena Lucana esistono delle antiche lapidi romane murate nelle facciate dei palazzi,per non “perderle”.Spero che i responsabili del Museo di Atena facciano altrettanto per la divulgazione delle iscrizioni ivi scolpite.Ho visto inoltre a Petina un’antica stele,forse il resto di un’architrave di una chiesa,cementata come un monumento,nei pressi del Comune.Chissà se lì c’è un altro Mariano Pastore….

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  2. Sarebbe veramente augurabile che il Museo affianchi alla stele una traduzione in Italiano e possibilmente anche in Inglese.
    Mi congratulo vivamente con Mariano Pastore per le sue ricerche e per l’amore che mostra verso la sua terra.
    Complimenti. Se questo amore fosse maggiormente diffuso avremmo certamente maggior orgoglio per la nostra città che certamente risulterebbe anche maggiormente curata sia dalle successive Amministrazioni che dai cittadini.

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  3. Per la gent.ma sig. Angela. Vorrei una risposta a “io la inserii qui” cosa si vuol dimostrare, una primogenitura? Non serve, nessuno nella cultura almeno se non si è ricercatori ha la pretesa per farlo. Della stele Eburina prima di lei e di me ne hanno parlato almeno un centinaio.

    Di questa famosa pietra di Eboli come la chiamavamo dagli inizi degli anni cinquanta quanto da poco tempo era stata trasportata nell’edificio scolastico, quello con l’orologio, ne avevamo sentito già parlare, quelli erano altri tempi non si pensava alla cultura locale.
    Per merito di un grande uomo di cultura il prof. Alberto Compagnone, un giorno di primavera mi portò davanti alla stele, mi raccontò quello che per Eboli significava.

    Mi raccontò come era stata trovata, di essa ne avevano parlato nei primi anni del 1800 valenti uomini. Il suo annoso problema era stata la traduzione che fu risolto solo nella metà di quel secolo. Nell’articolo da me dato a Massimo Del Mese volevo solo spronare l’amministrazzione Comunale e i funzionari museali a far mettere la traduzione al fianco di quella pietra muta giacente ai piedi di uno scalone che non attestava quello che avrebbe potuto attrarre l’attenzione del visitatore. Ho sbagliato con falsa modestia forse dovevo inserire che negli anni settanta con l’amico Mario Trifone militanti nel glorioso Circolo dell’Amicizia avevamo con volantini ciclostilati informati i cittadini ebolitani e la sempre disattenta amministrazione dell’importanza della pietra Eburina, dello scalone e degli stucchi che andavano in rovina nel complesso monumentale di S. Francesco (o San Lorenzo come si chiamava prima della guerra mondiale del 43). Nella speranza che non si rivolta nella tomba mons. Lupoli o Antonio Romano e dicono come mi sono permesso di parlare della stele Eburina? Noi ne abbiamo parlato nel 1800.

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  4. Per la gent.ma sig. Angela. Vorrei una risposta a “io la inserii qui” cosa si vuol dimostrare, una primogenitura? Non serve, nessuno nella cultura almeno se non si è ricercatori ha la pretesa per farlo. Della stele Eburina prima di lei e di me ne hanno parlato almeno un centinaio.

    Di questa famosa pietra di Eboli come la chiamavamo dagli inizi degli anni cinquanta quando da poco tempo era stata trasportata nell’edificio scolastico, quello con l’orologio, ne avevamo sentito già parlare, quelli erano altri tempi non si pensava alla cultura locale.
    Per merito di un grande uomo di cultura il prof. Alberto Compagnone, un giorno di primavera mi portò davanti alla stele, mi raccontò quello che per Eboli significava.

    Mi raccontò come era stata trovata, di essa ne avevano parlato nei primi anni del 1800 valenti uomini. Il suo annoso problema era stata la traduzione che fu risolto solo nella metà di quel secolo. Nell’articolo da me dato a Massimo Del Mese volevo solo spronare l’amministrazione Comunale e i funzionari museali a far mettere la traduzione al fianco di quella pietra muta giacente ai piedi di uno scalone che non attestava quello che avrebbe potuto attrarre l’attenzione del visitatore. Ho sbagliato con falsa modestia forse dovevo inserire che negli anni settanta con l’amico Mario Trifone militanti nel glorioso Circolo dell’Amicizia avevamo con volantini ciclostilati informati i cittadini ebolitani e la sempre disattenta amministrazione dell’importanza della pietra Eburina, dello scalone e degli stucchi che andavano in rovina nel complesso monumentale di S. Francesco (o San Lorenzo come si chiamava prima della guerra mondiale del 43). Nella speranza che non si rivolta nella tomba mons. Lupoli o Antonio Romano e dicono come mi sono permesso di parlare della stele Eburina? Noi ne abbiamo parlato nel 1800.

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  5. Rispondo a Mariano Pastore.
    Nessuna pretesa di primogenitura.
    Rispondevo solo al post di Gabriele Del Mese che si augurava una traduzione in italiano della scritta della stele al Museo cittadino.
    Come insegnante, mi è sembrato opportuno inserire la traduzione nel sito scolastico, Tutto qui,
    Cordiali saluti.

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