Renzi e la “Tegola” Severino su De Luca

Renzi: «La Severino non si tocca, ma rimane la vicenda De Luca».

Il premier difende il governatore: «Solo lui può eliminare le ecoballe in Campania» Non ancora fissata la data per la discussione dei ricorsi dell’ex sindaco di Salerno.

De Luca-Renzi
De Luca-Renzi

da POLITICAdeMENTE il blog di Massimo Del Mese

SALERNO – «Su De Magistris — non so se è stato assolto perché il fatto non costituisce reato o per la prescrizione — la vicenda è chiusa. Rimane Vincenzo De Luca». Lo ha detto il premier Matteo Renzi in tv ad Otto e mezzo , rispondendo a una domanda sugli effetti della decisione della Consulta. Non solo, il premier ha anche confermato che «non cambieremo la legge Severino e non cambieremo le primarie». Per poi riprendere il filo del governatore campano: «In legge di stabilità ci sono 450 milioni su tre anni per rimuovere le ecoballe dalla Terra dei fuochi. Lo dico con un sorriso per chi dice che non ci sono soldi per il Sud. Se c’è uno che è in grado di eliminare le ecoballe in Terra dei Fuochi è Enzo de Luca. E io sarò con lui». Ma lo sguardo lungo del presidente della Campania, in questi giorni, non può che essere concentrato sulla pronuncia della Corte Costituzionale sul suo caso, benché ieri, serafico, abbia twittato: «Severino e Consulta. Keep calm e al lavoro senza distrazioni».

Intanto, dopo le polemiche sui presunti ritardi della trasmissione degli atti a Roma è intervenuto il presidente del Tribunale di Napoli, Ettore Ferrara. E se i giudici della Corte non hanno ancora fissato la data dell’udienza per discutere della vicenda che interessa il governatore campano non è per inadempienza da parte degli uffici giudiziari partenopei. «Gli atti — ha, infatti, replicato il presidente del Tribunale di Napoli — sono stati trasmessi regolarmente alla Corte costituzionale già a luglio scorso». Era stato l’avvocato Gianluigi Pellegrino, che ha promosso il ricorso sulla incompatibilità del presidente della Regione, a sollevare la questione. Dunque, ora spetta soltanto alla Consulta procedere all’esame delle contestazioni proposte dai legali del governatore al fine di ritenere, per altri profili diversi da quelli valutati nel ricorso, poi respinto, presentato dal sindaco di Napoli Luigi de Magistris.

Per i legali di De Luca, infatti, i tre punti che minerebbero l’impianto costituzionale della legge Severino sarebbero la «disparità di trattamento» tra amministratori locali e parlamentari, dato che i primi vengono sanzionati già in presenza di una condanna di primo grado; l’«eccesso di delega» con il quale il parlamento ha affidato al governo il compito di varare un decreto legislativo; infine, il fatto che comprimendo l’esercizio dell’elettorato passivo e del libero svolgimento del mandato elettorale si rischia di arrecare un danno non riparabile né risarcibile. Il presidente della giunta per le elezioni e le immunità del Senato, Dario Stefano, di Sel, ha respinto ogni analogia tra il caso che coinvolge il sindaco di Napoli e quello che, invece, investe il presidente della Campania: «È vero— ha commentato — che appare difficile immaginare nuove espressioni della Consulta di indirizzo totalmente contrario e a distanza di così poco tempo. Ma in attesa di nuovi pronunciamenti dobbiamo attenerci ai fatti». Per poi aggiungere: «Quanto ai possibili rischi per la Regione Campania a me pare che anche da un’eventuale pronuncia di infondatezza delle questioni concernenti De Luca non conseguirebbe l’illegittimità della nomina della giunta della Regione. Infatti, il governatore ha nominato gli assessori e il vicepresidente il 7 luglio 2015, pienamente legittimato da un’ordinanza della I Sezione civile del Tribunale di Napoli che il 2 luglio aveva sospeso provvisoriamente l’efficacia del decreto di sospensione applicativo della legge Severino. Solo dopo è stata sollevata la questione di legittimità costituzionale».

Mentre il costituzionalista Stefano Ceccanti, che da parlamentare fu anche relatore della legge Severino, si è detto meno certo sulla conferma dell’orientamento espresso dalla Corte: «Il parere sul ricorso di de Magistris mi sembrava, di per sé, scontato. Ben più imprevedibile e incerto appare l’esito sulla questione De Luca». Sulla differenza tra sanzione penale e misura cautelare, al centro del caso de Magistris, ha quindi sottolineato: «La Consulta si era già pronunciata e aveva quindi precedenti solidi cui ancorarsi per stabilire che la sospensione non è una sanzione, ma una misura cautelare legata alla fissazione di un requisito».

 dal Corriere del Mezzogiorno/Salerno

Salerno, 22 ottobre 2015

1 commento su “Renzi e la “Tegola” Severino su De Luca”

  1. Finalmente una buona notizia sil fronte economico :
    Ora l’Italia attrae i grandi investitori
    di Isabella Bufacchi

    La liquidità c’è e, come ha promesso ieri il presidente della Bce Mario Draghi, altra ne arriverà. La voglia di trovare investimenti alternativi ai titoli di Stato c’è , estesa su scala globale,e anche quella è destinata ad aumentare in linea con un calo ulteriore di rendimenti e tassi mantenuti a lungo bassi un po’ ovunque.Continua pagina 5

    La necessità di canalizzare maggiori risorse finanziarie e capitali dei privati nelle infrastrutture c’è , perchè questo è un motore che va acceso senza esitazione per potenziare la ripresa economica.

    La vera sfida, per l’Italia, è allora un’altra: vincere la competizione tra Paesi, il beauty contest delle infrastrutture.

    Come è emerso ieri nella giornata inaugurale della Conferenza annuale del Club degli investitori di lungo termine (LTIC Long-Term Investors Club, presieduto da Franco Bassanini) ospitata quest’anno in Italia dalla Cassa depositi e prestiti, il rallentamento dell’economia globale da un lato e la ritirata dalle infrastrutture degli investimenti pubblici nei Paesi con economie avanzate dall’altro lato, hanno dato vita a una sfrenata caccia degli Stati all’investitore privato di lungo termine. «I fondi pensione e i fondi sovrani, i grandi investitori di lungo termine privati, dovranno in prospettiva prendere il posto degli Stati, della mano pubblica,dovranno essere loro ad accollarsi il rischio del progetto infrastrutturale che in passato spettava al settore pubblico», ha tuonato Lord Desai, professore alla LSE, rivolgendosi alla platea a Palazzo Serbelloni gremita di investitori long-term provenienti da tutto il mondo.

    Come potrà l’Italia convincere un investitore estero di lungo termine, come un fondo pensione già poco propenso al rischio, a dover rischiare di più su greenfield e brownfield italiani, su energia, utilities e alta tecnologia made-in-Italy, quando adesso gli altri come Stati Uniti, Inghilterra, Russia – tutti Paesi che con la crisi hanno accumulato un alto debito pubblico e non possono permettersi di aumentare oltremisura la spesa pubblica sulle infrastrutture – stanno tentando di fare lo stesso e attrarre capitali esteri in casa propria?

    Un primo asset da giocare è quello della profittabilità degli investimenti,ovvero, la variabile risk/return. E il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan, in un messaggio inviato ieri alla conference LTIC, ha ribadito che «se c’è un Paese dove migliorano le condizioni per fare investimenti questo Paese è l’Italia», aggiungendo che oltre alla stabilità a lungo termine con una finanza pubblica sotto controllo e una crescita sostenibile guidata dalle riforme strutturali, l’Italia offre «profittabilità degli investimenti» con un miglioramento del business environment. Ed è lì la chiave: se l’Italia saprà dimostrare ora, in questo beauty contest mondiale delle infrastrutture, di saper garantire adeguati ritorni rispetto al rischio, i capitali arriveranno. «Noi abbiamo già iniziato a investire in Italia nelle infrastrutture – ha detto una rappresentante della Development bank of Japan, un’istituzione che è stata privatizzata e che si sta aprendo agli investimenti all’estero -. Non siamo come un fondo pensione, siamo abituati ad assumere rischi, purchè ben remunerati».

    La profittabilità sì, ma non basta. Dove investire e con chi dialogare? «L’Italia è un Paese molto interessante per investire, sicuramente nell’innovazione e nel campo dell’energia rinnovabile – ha commentato un membro del Fondo Marguerite ai margini della conferenza – ma bisogna anche trovare il progetto giusto e il partner giusto e questo richiede molto tempo». Per mettersi in bella mostra nella competizione globale, l’Italia deve saper velocizzare e semplificare il dialogo. Un esempio è il crescente ruolo della Cdp su scala internazionale, ancor più di recente con la nuova piattaforma per “assegnare” a progetti italiani meritevoli le garanzie del Piano Juncker e del nuovo Efsi, al fianco della Bei. Come la Cdp anche il Fondo strategico italiano, F2i, il Fondo Italiano per gli investimenti, tutti interlocutori istituzionali in pole position per il dialogo con i big mondiali.

    Non da ultimo, il successo su scala internazionale di una privatizzazione come quella di Poste può veramene spalancare le porte dei grandi portafogli esteri: la fiducia degli investitori , soprattutto quelli di lungo termine, si conquista giorno dopo giorno, senza commettere mai passi falsi. «Le condizioni per aumentare i capitali in asset rischiosi sono senza precedenti, tassi ultrabassi – ha detto in tono provocatorio l’economista di fama mondiale John Lipsky – eppure, non l’investimento in infrastrutture dei privati non decolla. Perchè? La paura di un’altra Grande Crisi? La decrescita demografica che va di pari passo con l’avversione al rischio?». La sfida è aperta, per l’Italia, l’Europa e tutti i Paesi con economie avanzate e crescita potenziale modesta.
    Dal Sole24ore

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