Il federalismo e il mistero del silenzio tombale

Quanto costerà, quanto complicherà le decisioni, quanto spezzetterà le cose che non sono da spezzettare, e chi punirà, e come, chi sgarra.

MILANO – Si ripropone questo articolo del politologo Giovanni Sartori perché recentemente il Ministro Roberto Calderoli, da Lucia Annunziata ha dichiarato che nessun Ministro della Lega parteciperà al 150esimo anniversario della Repubblica. Il Ministro fa riflettere e riflettano anche il Presidente Berlusconi e i Colonnelli di Gianfranco Fini.

Giovanni Sartori

di Giovanni Sartori

L’altro giorno scrivendo su queste colonne su le «Incognite del federalismo» mi sono detto: questa volta mi massacrano. Mi sono sbagliato alla grande. La risposta è stata un silenzio tombale. Chi mi ha letto saprà che ponevo quattro quesiti, appunto sul federalismo: quanto costerà, quanto complicherà le decisioni, quanto spezzetterà le cose che non sono da spezzettare, e chi punirà, e come, chi sgarra.

Non dico che i suddetti fossero quesiti facili; ma erano e restano quesiti sine qua non, senza i quali nulla, senza i quali «non si può». Mi era stato annunziato che mi avrebbe risposto il ministro Roberto Calderoli. Del che ero lietissimo perché l’uomo è intelligente (la sua legge elettorale lo è, pur nella sua orrendezza). Invece Calderoli si è sfilato, a quanto pare. Così mi ha risposto domenica soltanto La Padania trovando come vittima— immagino—Stefano Bruno Galli, che mi risulta essere ricercatore di Storia delle dottrine politiche all’Università di Milano. Il buon Galli se la cava come può. Non affronta e tantomeno risponde in alcun modo a nessuna delle mie domande. Curiosamente mi rimprovera di aver citato con favore, alcuni anni fa, La Casta di Sergio Rizzo e Gian Antonio Stella. Farei lo stesso, oggi, per almeno una dozzina di altri libri loro, di Peter Gomez, di Marco Travaglio e altri, tutti di devastante documentazione. Dico curiosamente perché se i suddetti diffamassero un’Italia regionale che prefigura l’Italia federale (sembra così anche a me), allora sarebbe strettissimo dovere della Lega Nord di controbattere e smontare queste calunnie. Invece anche rispetto a questo il silenzio è tombale.

Ma vengo al nocciolo. Il Nostro cita, in favore della tesi che il federalismo costa meno del centralismo, un solo autore, Buchanan. Ma siccome su Buchanan ho lavorato e scritto, posso assicurare il valoroso Galli che il suo teste gli darebbe torto. Senza scomodare venerati maestri, anche io saprei escogitare sulla carta un buon sistema federale. Ma tutto dipende dalle condizioni di attuazione e da quel che troviamo di già fatto (malfatto) e incancrenito in loco. Gira e rigira —sempre a vuoto— il buon Galli approda a questa sensazionale scoperta: che «il federalismo è responsabilità». A dire così non si sbaglia mai; ma non si dice nulla. Responsabilità è in primis un concetto etico, a proposito del quale si distingue tra etica delle buone intenzioni (redente dalla loro bontà intrinseca, anche se risultano disastrose nei loro effetti pratici) ed etica della responsabilità, e cioè consapevole delle conseguenze e quindi per ciò stesso responsabile. In politica, invece, essere responsabile vuol dire, in primissimo luogo, essere tenuto a rispondere dei propri atti; e in questo contesto un responsabile che si rivela «irresponsabile» deve essere cacciato e se del caso punito.

Come? Da chi? Il nostro non ne ha la minima idea, e perciò lascia anche me senza nessuna idea. Peccato che io non sappia il padano e quindi che non possa tradurre. In inglese la nostra vicenda è già prevista, temo, da Shakespeare (in Macbeth): It is a tale told by an idiot full of sound and fury signifying nothing.

di Giovanni Sartori

dal CORRIERE DELLA SERA

del 21 aprile 2010

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Note bibliografiche

Giovanni Sartori, è considerato uno dei più autorevoli politologi viventi, è nato a Firenze il 13 maggio 1924. Qui si è laureato nel 1946 in Scienze Politiche e Sociali, nell’Università dove più tardi ha insegnato Storia della Filosofia Moderna, Scienze Politiche e Sociologia.

Fino al 1994 è anche alla Columbia University di New York, dove è riconosciuto come uno dei massimi esperti internazionali di politologia, avendo in passato insegnato Filosofia moderna e Logica nelle università di Stanford, Yale e Harvard.

A oltre sessant’anni dalla laurea, al culmine della sua carriera accademica, Sartori opera ancora come professore emerito all’Università di Firenze, dividendo il suo tempo come lettore in altre prestigiose istituzioni.

I suoi lavori sono stati tradotti in una trentina di lingue.

Nel periodo tra il 1950-1956, quando è Professore Incaricato di Storia della Filosofia Moderna all’Università , di Firenze la sua attività critica verte su analisi e dissertazioni filosofiche su autori classici come Hegel, Marx, Kant, Benedetto Croce.

Nei vent’anni successivi, coerentemente con la svolta “politica” e “sociale” dell’oggetto dei suoi studi e anche nel campo del suo insegnamento, le sue pubblicazioni riguarderanno sempre di più il sistema rappresentativo democratico, i partiti e le correnti all’interno dei partiti. Nel 1971, fonda la «Rivista Italiana di Scienze Politiche».

Una teoria che classifica i sistemi partitici, basata sulla differenza tra il formato del sistema partitico e la meccanica funzionale è il contenuto del volume Parties and Party Systems (Cambridge University Press 1976). Divenuto un classico universalmente riconosciuto, tradotto e ristampato numerose volte – nel 2005 anche dall’European Consortium for Political Research dell’Università di Essex (UK) – questo lavoro gli ha permesso di vincere l’American Political Science Association´s Outstanding Book Award. In esso Giovanni Sartori offre un’ampia dissertazione sui concetti e sulle funzione del partito politico e sviluppa una critica circostanziata di numerosi modelli spaziali di competizione partitica. In quest’opera, Sartori alterna l’uso intelligente della teoria a sofisticate argomentazioni analitiche, in un contesto empirico di respiro transnazionale. Questo volume è tuttora considerato come il lavoro più avanzato nel campo delle scienze politiche, dal dopoguerra a oggi.

Nel 1976 iniziano anche le sue collaborazioni Oltre Oceano, prima come Professore di Scienze Politiche all’università di Stanford (1976-79) e quindi a New York, Albert Schweitzer Professor in the Humanities alla Columbia University (1979-1994).

Nel 1987 pubblica The Theory of Democracy Revisited, (Chatam, N.J., Chatham House). Già autore di una Democratic Theory (1962), in quest’opera in due volumi Giovanni Sartori sostiene che le idee, le parole e i simboli della politica nel periodo tra gli anni ’60 e gli anni ’80 hanno portato a nuove teorie della democrazia. Disezionando i valori e le idee che stanno alla base di un grande democrazia, è possibile condurre un’analisi filosofica intesa a ricostruire una teoria democratica di largo respiro. Nella prima parte Sartori confronta le odierne teorie della democrazia con le teorie degli anni ’50, mentre nella seconda parte si concentra sui motivi trasmessi dalla tradizione ellenistica. L’obiettivo è quello di dimostrare la necessità di incrociare, prima di poterle convalidare, teorie che sono insieme prescrittive (intrise di idealismo) e descrittive (realismo). Il prodotto è in un impasto integrale che compone una teoria del “democraticamente possibile”. Fornisce una eccellente analisi del tessuto di cui è composta una democrazia ed enfatizza la necessità di comprendere che se le democrazie tengono insieme questo tessuto sono da considerarsi valide e stabili.

Il suo lavoro Comparative Constitutional Engineering: an Inquiry into Structures, Incentives and Outcomes (New York, New York University Press, 1994) è stato tradotto in più di trenta lingue. In esso Giovanni Sartori offre i suoi specifici, ancorché coraggiosi precetti nel campo dell’ingegneria costituzionale, proponendo accordi a livello istituzionale che confrontano tendenze che vanno per la maggiore tra i riformatori accademici e tra i politici riformaisti. Nella prima delle tre parti in cui è composta l’opera, l’autore offre una carrellata sui sistemi elettorali vigenti nei vari paesi; nella seconda passa in rassegna le clausole costituzionali che danno forma alle relazioni che intercorrono tra il potere legislativo e il potere esecutivo. Nella terza affronta un curioso coacervo di argomenti, tra i quali emerge la proposta dell’autore, che punta su un presidenzialismo basato sull’alternanza.

Nel 1993 pubblica Democrazia: cosa è, che si è imposto nel tempo come testo di riferimento fondamentale tradotto in tutto il mondo. La riedizione italiana del 2007 (Rizzoli) si arricchisce di capitoli inediti che trattano temi divenuti cruciali dopo l’11 settembre 2001: i rapporti tra Occidente e mondo musulmano, la possibilità di “democratizzare l’Islam”, lo scontro di civiltà provocato dai fondamentalismi.

Nel 1998 scrive Homo videns. Televisione e post-pensiero, una riflessione sull’influenza della tv-spazzatura sugli individui e, di conseguenza, sulla società

Con Pluralismo, multiculturalismo e estranei (Rcs 2000), Giovanni Sartori affronta il fenomeno dell’immigrazione dai paesi in via di sviluppo, tanto più problematico quanto più consistenti sono le dimensioni dei flussi migratori e ampia è la distanza culturale dei nuovi venuti. L’integrazione richiede tolleranza reciproca, ma soprattutto l’accettazione da parte degli aspiranti neo-cittadini del principio cardine su cui verte la convivenza europea: la separazione tra il potere dello Stato e quello della Chiesa. Procastinare questo chiarimento significa andare, col tempo, verso la balcanizzazione del Paese.

Giovanni Sartori è stato insignito della laurea Honoris Causa dall’Università di Genova nel 1992; dall’Università di Georgetown (USA) nel 1994; dall’Università di Guadalajara (Messico) nel 1997; dall’Università di Buenos Aires (Argentina) nel 1998; dall’Università Complutense di Madrid (Spagna) nel 2001 e dall’Università di Bucarest (Romania) nel 2001.

Dal 1988 fa parte dell’Accademia dei Lincei ed è vice-presidente della Società Libera, per lo studio e la diffusione delle idee liberali nella società . Nel 1999 è stato nominato Comendador do Ordem do Cruzeiro do Sul dal presidente della Repubblica Federale del Brasile e nel 2005 ha ricevuto il Premio Principe delle Asturie dal Principe Felipe di Borbone, assegnatogli nella categoria Scienze Sociali.

Inoltre, Giovanni Sartori ha ricevuto dal Presidente della Repubblica Italiana la Medaglia d’Oro per meriti culturali ed educativi, la Medaglia d’Oro della Publica Istruzione, assegnata ai benemeriti della scuola, della cultura e dell’arte. È membro della American Academy of Arts and Sciences.

Scrive regolarmente sul «Corriere della Sera».

3 commenti su “Il federalismo e il mistero del silenzio tombale”

  1. L’Italia è l’unico Paese in cui il federalismo nasce non per eliminare le disuguaglianze, ma per accentuarle. Nel Pdl però qualcosa si muove e Fini comincia a porre i quesiti giusti alla maggioranza. Meglio tardi che mai

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  2. Giustissimo, il federalismo è il “velo di Maya” per legittimare le sperequazioni prossimo venture e moltiplicare i centri di spesa localistici. Il federalismo fiscale, così come è stato delineato, potrebbe portare a un aumento dell’Irpef, e per questo è necessario approfondire con attenzione tutte le questioni aperte. Al fatto che non molti conoscano esattamente cosa sia il federalismo si aggiunge la confusione di sentire questa parola combinata a un’altra serie di aggettivi sempre diversi: federalismo fiscale, federalismo autonomista, federalismo in salsa costituzionale, modello federalista italiano. Tutta questa serie di parole non è altro che una maschera. Sono profondamente convinto del fatto che chi parla di federalismo in questi termini non sappia che in realtà esso non è altro che un’idea non di governo bensì di amministrazione (faccenda completamente differente). Curiosa e anche la parentesi che si potrebbe aprire sui costi del federalismo. Anche ammettendo che il federalismo “fiscale” sia la soluzione adatta per il caso italiano (e questo è tutto da vedere), ciò che a molti piacerebbe e premerebbe sapere sono i costi e i tempi dell’attuazione del modello federalista, un campo questo dove nemmeno i più “esperti” osano avventurarsi per paura di venire contraddetti da una marea di altrettanti omologhi pronti ad affermare l’esatto contrario di quello che viene detto.Non viene detto quanto costa il federalismo, non vengono detti i tempi di attuazione del federalismo, viene solamente detto che il federalismo sarà la chiave di volta per la soluzione di tutti problemi del Paese, naturalmente senza mai spiegare cosa sia il federalismo fiscale. Questo sostenendo che il modello di governo amministrativo attuale non consente un’equa e corretta distribuzione delle risorse, ma al contrario incoraggia gli enti pubblici a sprecare, per non parlare di “Roma ladrona” che si appropria indebitamente, questo secondo l’attuale visione delle cose, delle risorse dei cittadini italiani. Un dubbio però sorge spontaneo: veramente con il federalismo fiscale (qualsiasi cosa sia) non si andranno più a sprecare risorse? Quando si discute dei costi del decentramento bisognerebbe partire da una considerazione-base: lì dove il federalismo c’è già, a parità di servizi forniti al cittadino il costo pro capite è molto più alto rispetto a quello delle Regioni dove il decentramento e la devolution sono in arrivo.I calcoli li ha fatti l’Isae, un istituto di ricerca pubblico mai accusato di simpatie politiche o territoriali, il quale con rigore sta seguendo da anni gli effetti economici del federalismo,e saranno salati per i cittadini! A noi le “belle cose”

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  3. Quel poco di autonomia che hanno avuto le amministrazioni locali è servito per riempirsi di debiti.
    Il comune di Milano per rinviare i debiti nel futuro si è lanciato in una spericolata speculazione sui derivati. Il valore negativo dell’operazione pare che ammonti a 180milioni di euro.
    Nel campo della speculazione sui derivati con ci sono solo i grandi sindaci e neanche solo quelli di destra basta cita una fetta di piccoli e grandi comuni dell’Umbria: Terni, Narni, Orvieto, Stroncone, Guardea, Alviano, Polino, Avigliano Umbro, Lugnano in Teverina e Baschi. In questi Comuni sarebbero state attivate operazioni finanziare sui derivati per un totale di circa 466 milioni di euro.
    Grazie all’attuale autonomia gli enti locali hanno un’esposizione per strumenti di derivati verso le banche di 35,6 miliardi di euro. A fine 2008, secondo la Banca d’Italia, il debito delle di regioni, province e comuni era di 106,6 miliardi di euro. Forse entro la fine del 2010 avremo delle piccole “Grecie” a livello locale.
    Riguardo poi alle entrate molto spesso i Comuni non si sporcano le mani ad incassare direttamente e si rivolgono ad esattori come Tributi Italia, che applicano forti agi e non fanno regolarmente i riversamenti.
    SE SI COMPORTANO IN QUESTO MODO COSA ACCADRA’ CON IL FEDERALISMO FISCALE?
    Il federalismo è una buona cosa MA:
    – deve essere assolutamente proibito alle amministrazioni federali regionali e ai loro comuni di fare debiti con banche private;
    – debbono pareggiare le uscite con le entrate fiscali;
    – debbono rivolgersi per necessità di cassa ad una sola Cassa depositi e prestiti nazionale;
    – debbono essere controllati dalla magistratura contabile;
    – debbono rendere pubblici, trasparenti e comprensibili i loro bilanci.
    francesco zaffuto http://www.lacrisi2009.com

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