Salva l’Acqua-Campagna Nazionale contro la privatizzazione

Il Governo Berlusconi con la L. 133/2008 privatizza la risorsa Acqua, concedendo la gestione ai privati.

NAPOLIPOLITICAdeMENTE, questo Blog, aderisce alla CAMPAGNA NAZIONALE “SALVA L’ACQUA”, contro la privatizzazione della gestione della risorsa ACQUA, regolata da una Legge voluta ed approvata dal Governo Berlusconi.

Ritenendo che la risorsa ACQUA non sia un bene negoziabile e quindi non soggetto a manovre speculative, e ritenendo inoltre, che la carenza di una legislazione Mondiale di protezione effettiva di questa risorsa eccezionale, più che in una “svendita”, per come si sta operando, dovrebbe andare nella direzione di proteggere, gestire e rendere fruibile: ad alcune popolazioni che ancora non riescono ad utilizzarla;  all’utilizzo in maniera razionale dei paesi che invece la sperperano. Ecco perché si promuove e  si invita quanti vorrebbero aderire a questa iniziativa a farlo senza indugi e in maniera chiara e forte.

Queste politiche scellerate renderanno questa risorsa estremamente preziosa negli anni futuri, tanto preziosa che riproporrà scenari da “Guerre del Fuoco”. Quel futuro è prossimo. e’ dietro l’angolo.

Per queste motivazioni pubblica il testo che segue di Alex Zanotelli in un’incontro tenuto a Napoli l’8 novembre u.s.. Padre Zanotelli, è uno dei più strenui sostenitori della campagna “SALVA L’ACQUA”, e il suo intervento è un appello forte che non lascia spazio a nessun equivoco circa le speculazioni che grandi gruppi economici e finanziari vorrebbero attuare.

Per aderire cliccare su “SALVA L’ACQUA”

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di Alex Zanotelli

IL DENARO ‘PESA’ PIU’ DELL’ACQUA!

Alex Zanotelli
Alex Zanotelli

E’ stato uno shock per me sentire che il Senato , il 4 novembre scorso, ha sancito la privatizzazione dell’acqua.

Il voto in Senato è la conclusione di un iter parlamentare che dura da due anni. Infatti il governo Berlusconi, con l’articolo 23 bis della Legge 133/2008, aveva provveduto a regolamentare la gestione del servizio idrico integrato che prevedeva, in via ordinaria, il conferimento della gestione dei servizi pubblici locali a imprenditori o società , mediante il rinvio a gara , entro il 31 dicembre 2010. Quella Legge è stata approvata il 6 agosto 2008, mentre l’Italia era in vacanza. Un anno dopo, precisamente il 9 settembre 2009, il Consiglio dei ministri ha approvato un decreto legge (l’accordo Fitto- Calderoli), il cui articolo 15, modificando l’articolo 23 bis, muove passi ancora più decisivi verso la privatizzazione dei servizi idrici, prevedendo:
a) L’affidamento della gestione dei servizi idrici a favore di imprenditori o di società, anche a partecipazione mista (pubblico-privata) , con capitale privato non inferiore al 40%;
b) Cessazione degli affidamenti ‘in house’ a società totalmente pubbliche, controllate dai comuni alla data del 31 dicembre 2011.

Questo decreto è passato in Senato per essere trasformato in legge. Il PD , che è sempre stato piuttosto favorevole alla privatizzazione dell’acqua, ha proposto nella persona del senatore Bubbico, un emendamento-compromesso: l’acqua potrebbe essere gestita dai privati, ma la proprietà resterebbe pubblica. Questa proposta , fatta solo per salvarsi la faccia, passa con un voto bipartisan! Ma la maggioranza vota per la privatizzazione dell’acqua. L’opposizione (PD e IDV), vota contro il decreto-legge.

E così il Senato vota la privatizzazione dell’acqua, bene supremo oggi insieme all’aria! E’ la capitolazione del potere politico ai potentati economico-finanziari. La politica è finita!E’ il trionfo del Mercato, del profitto. E’ la fine della democrazia.

”Se la Camera dei Deputati- ha detto correttamente il Forum dei movimenti dell’acqua –non ribalterà il misfatto del Senato, si sarà celebrata la delegittimazione delle Istituzioni.”

Per questo dobbiamo denunciare con forza:
– il governo Berlusconi che, con questo voto al Senato, ora privatizza tutti i rubinetti d’Italia. “Questo decreto segna un passaggio cruciale per la cultura civile del nostro paese e per la sua Costituzione- scrivono Molinari e Lembo del Contratto Mondiale dell’Acqua. I Comuni e le Regioni vengono espropriati da funzioni proprie con un vero attentato alla democrazia.”
-il partito di opposizione , il PD, che continua a nicchiare sulla privatizzazione dell’acqua (sappiamo che il nuovo segretario Bersani è stato sempre a favore della privatizzazione).
– ed infine tutta l’opposizione, per non aver portato un problema così grave all’attenzione dell’opinione pubblica.

Per questo rivolgiamo un appello a tutti i partiti perché ritirino questo decreto o tolgano l’acqua dal decreto.

E questo devono farlo adesso che il decreto legge passa alla discussione nella Camera dei Deputati. Si parla che il decreto potrebbe essere votato il 16 novembre.

E ai partiti di opposizione chiediamo che dichiarino ufficialmente la loro posizione tramite il loro segretario nazionale e diano mandato al partito di mobilitarsi su tutto il territorio nazionale.

E chiediamo altresì , ai partiti di opposizione di riportare in aula la Legge di iniziativa popolare che ha ottenuto nel 2007 400.000 firme ed ora dorme nella Commissione Ambiente della Camera.

Chiediamo alle Regioni di:
-impugnare la costituzionalità dell’articolo 15 del decreto Fitto-Calderoli;
-varare leggi regionali sulla gestione pubblica del servizio idrico.

Chiediamo ai Comuni di:
-Indire Consigli Comunali monotematici sull’acqua;
-dichiarare l’acqua bene di non rilevanza economica;
-fare la scelta dell’Azienda Pubblica speciale per la gestione delle proprie acque. Questa opzione ,a detta di molti avvocati e giuristi, è possibile anche con l’attuale legislazione . Si tratta praticamente di ritornare alle vecchie municipalizzate.

Chiediamo ai sindacati di :
-pronunciarsi sulla privatizzazione dell’acqua tramite i propri segretari nazionali;
-mobilitarsi e mobilitare i cittadini contro la mercificazione dell’acqua.

Chiediamo infine alla Conferenza Episcopale Italiana(CEI) di :
-proclamare l’acqua un diritto fondamentale umano , come ha fatto il Papa Benedetto XVI nell’enciclica Caritas in veritate dove parla “dell’accesso all’acqua come diritto universale di tutti gli esseri umani, senza distinzioni né discriminazioni”(n.27);
-protestare , in nome della vita, come afferma il Papa nell’enciclica,contro la legge che privatizza l’acqua;
-chiedere alle comunità parrocchiali di organizzarsi sia per informarsi sia per fare pressione a tutti i livelli, perché l’acqua non diventi merce.

Infatti l’acqua è sacra, l’acqua è vita, l’acqua è un diritto fondamentale umano. Questo bisogna ripeterlo ancora di più, in un momento così grave in cui con il surriscaldamento del pianeta, rischiamo di perdere i ghiacciai e i nevai, e quindi buona parte delle nostre fonti idriche. E lo ripetiamo con forza alla vigilia della conferenza internazionale di Copenhagen, dove l’acqua deve essere discussa come argomento fondamentale legato al clima. Per questo chiediamo a tutti, al di là di fedi o di ideologie perché ‘sorella acqua’ , fonte della vita, venga riconosciuta da tutti come diritto fondamentale umano e non sottoposta alla legge del mercato.

Si tratta di vita o di morte per le classi deboli dei paesi ricchi , ma soprattutto per i poveri del Sud del mondo che la pagheranno con milioni di morti per sete.

Alex Zanotelli

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Alex Zanotelli : Biografia

Alessandro Zanotelli, noto come Padre Alex Zanotelli, è nato a Livo (Trento) il 26 agosto 1938, completa i suoi studi a Cincinnati (Usa) e, nel 1964, viene ordinato sacerdote. Fa parte dell’ordine missionario dei Comboniani di Verona. È l’ispiratore ed il fondatore di più movimenti italiani che hanno l’obiettivo di creare le condizioni della pace e di una società solidale in cui gli ultimi abbiano cittadinanza. Parte come missionario comboniano per il Sudan, restandovi dal 1965 al 1978. Dal 1978 diviene direttore della rivista Nigrizia. Nel 1987 lascia la direzione di Nigrizia, anche se tutt’oggi vi collabora con articoli di grande spicco contenutistico. Dal 1994, fino al 2002, padre Zanotelli ha vissuto a Korogocho, una delle infinite “per estensione e miseria” baraccopoli di Nairobi. Dall’aprile 2002 è rientrato stabilmente in Italia. Zanotelli ha sempre sostenuto la sua politica prendendo posizioni precise, affrontando i temi del commercio delle armi, della cooperazione e dello sfruttamento per scopi economici dell’apartheid sudafricano. E’ anche tra i fondatori del movimento “Beati i costruttori di pace”, con cui ha condotto molte battaglie in nome della cultura della mondialità e per i diritti dei popoli. Collabora, inoltre, con la rivista Mosaico di Pace, pubblicata da Pax Christi.

Gli studi ed il periodo statunitense
Dopo aver finito le medie ed iniziato le superiori si trasferì negli Stati Uniti d’America a Cincinnati al fine di compiere gli studi di Teologia. Furono gli anni di John F. Kennedy e Martin Luther King che influenzarono notevolmente il giovane Alex. Nel 1964, dopo aver completato gli studi di teologia a Cincinnati (Usa), venne ordinato sacerdote. Dalla biografia scritta da Mario Lancisi si ricava una sintesi di quel periodo racchiusa in un pensiero: «La mamma lo ha sempre desiderato. Io non volevo né studiare, né diventare sacerdote. Quando ho preso la mia decisione, lei si è sobbarcata l’onere di trovare qualcosa in più per farmi studiare. Sentivo che la vita poteva avere un significato molto più largo, che la vita era bella se la si donava».

Il Sudan ed i Nuba
Come missionario comboniano partì per il Sudan meridionale, martoriato dalla guerra civile, dove rimase otto anni. Fu allontanato dal governo a causa della sua solidarietà con il popolo Nuba e della coraggiosa testimonianza cristiana. Il motivo dell’avversità governativa e di una parte della curia romana (ostilità quest’ultima che si farà sentire anche in seguito) è stata la scelta, sempre nel rispetto ed in accordo con i vescovi, di officiare messe che attingevano agli usi e ai costumi africani. Ciò creava fastidi ai governanti sudanesi che vedevano una pericolosa commistione fra religione ”straniera” e riti locali di un popolo osteggiato e a quanti a Roma facevano fatica ad accettare il Concilio Vaticano II. Le sue prediche erano di fuoco: denunciava le ingiustizie e metteva sotto accusa i responsabili corrotti del governo e dell’amministrazione, che intascavano i fondi, sia locali sia internazionali, destinati allo sviluppo. Il suo obiettivo era applicare il Vangelo alla realtà storica in cui viveva: la sua formazione statunitense applicata agli schemi di corruzione africana.

Il periodo veronese e la direzione di Nigrizia
La casa madre dei comboniani di Verona era il luogo tranquillo dove si trovavano in maggioranza preti anziani di ritorno dalle missioni e una casa editrice con due giornali di punta: Il Piccolo Missionario e Nigrizia, una rivista che era una sorta di bollettino delle attività dell’ordine nelle missioni, nata nel 1883. Nel 1978 assume la direzione di Nigrizia e contribuisce a renderla sempre più un mensile di informazione, con un obiettivo che si può riassumere in una sua dichiarazione: «Essere al servizio dell’Africa, in particolare “voce dei senza voce”, per una critica radicale al sistema politico-economico del nord del mondo che crea al Sud sempre nuova miseria e distrugge i valori africani più belli, autentici e profondi». Per una decina di anni, Zanotelli prende posizioni sempre più precise rivolgendosi all’opinione pubblica italiana, affrontando, in maniera sistematica e con la collaborazione della rete dei missionari presenti sul territorio, i temi del commercio delle armi, della cooperazione allo sviluppo (affaristica e lottizzata), dell’apartheid sudafricano. Essere al centro di una rivista di punta, associato al fatto di essere un leader naturale e carismatico, lo porta a ispirare e fondare con altri il movimento Beati i costruttori di pace, con cui ha condotto molte battaglie in nome della cultura della mondialità e per i diritti dei popoli. Nel 1987 – su richiesta di esponenti politici e vaticani – Alex Zanotelli lascia la direzione di Nigrizia. Fu un periodo di attacchi diretti alla sua persona, con l’obiettivo di estirpare, colpendo lui, un movimento che stava nascendo. Le sue denunce avevano preso di mira esponenti di primo piano della classe politica di allora, da Andreotti a Spadolini, da Craxi a Piccoli. Denunce che, di fatto, anticiparono la stagione di Tangentopoli. Le sue parole: «Tutto è cominciato nel gennaio 1985 con la pubblicazione dell’editoriale ”Il volto italiano della fame africana”, una pesante denuncia del sistema di aiuti ai paesi del Terzo Mondo. Scoppiò un finimondo – racconta padre Alex -. Tangentopoli poteva scoppiare allora, c’erano già tutti gli elementi. Dalla fame passammo poi alle armi, ai problemi legati all’ambiente, insomma mettemmo a nudo il sistema. Spadolini su L’Espresso attaccò pesantemente i cosiddetti preti rossi. Giunse persino ad accusarmi di incitamento alla delinquenza terroristica internazionale». Il periodo 1985-87 fu contrassegnato dal mobbing ai suoi danni, con un tentativo da parte del Vaticano e dei “vecchi missionari” di piegarlo o espellerlo dal sistema. Zanotelli lo definì «un periodo di grande sofferenza umana» in cui la sua crisi personale lo portò ai dubbi: «sono davvero sicuro di aver detto la verità? È possibile che 50 milioni di italiani non vedano gli scandali?» La sua eredità culturale, raccolta dai successivi direttori e redattori, continua a manifestarsi anche oggi.

Korogocho ovvero l’inferno
Nella lingua locale il nome Korogocho significa confusione, caos. Fino al 2001 Zanotelli rimase a Korogocho, una delle baraccopoli che attorniano Nairobi, la capitale del Kenya. Ha dato vita a piccole comunità cristiane, ma anche ad una cooperativa che si occupa del recupero di rifiuti e dà lavoro a numerosi baraccati; ha propiziato la nascita di Udada, una comunità di ex prostitute che aiuta le donne che vogliono uscire dal giro e, nello stesso tempo, si è battuto per le riforme che riguardano la distribuzione della terra, uno dei temi-chiave della politica keniana. Il degrado umano a Korogocho è spaventoso. Proprio a Korogocho una sua frase: “Forse Dio è malato” divenne il titolo del libro sull’Africa di Walter Veltroni, che da ex segretario dei Ds, all’inizio del 2000, si recò in visita a Korogocho (unico leader politico che ha visitato la città oltre a Jesse Jackson il reverendo nero democratico statunitense). I mali di Dio, a Korogocho, si chiamano AIDS, fame, prostituzione, droga, alcolismo, violenza. Sempre dalla biografia del giornalista del Tirreno Mario Lancisi, si hanno le riflessioni di Zanotelli sull’esistenza di Dio, che vanno oltre la frase ripresa da Veltroni: Alla domanda se abbia mai dubitato della sua esistenza, risponde: “Non una ma molte volte. Quando uno si trova in situazioni così assurde, davanti ad una sofferenza innocente, come è capitato a me a Korogocho, il primo dubbio che viene è proprio su Dio. Perché uno si chiede: ma se tu, Dio, ci sei, è impossibile che non intervenga di fronte ad una sofferenza così atroce. Ma oggi Dio è impotente, è malato. Potrà guarire solo quando guariremo noi. Solo noi oggi possiamo far qualcosa. Dio non può più. Ognuno di noi è importante perché vinca la vita…”. Dio non è onnipotente? “Più ci rifletto e più mi convinco che forse Dio non è l’onnipotente che pensiamo noi. È il Dio della croce. Perché non ha ascoltato la preghiera di Gesù morente? È un mistero. Forse è un Dio debole, che si è autolimitato, che può salvarci solo attraverso di noi”.

La rete Lilliput
Durante l’anno sabbatico che trascorre in Italia, a cavallo del 95-96, mutuando forse dalla struttura di internet, Zanotelli lancia l’idea della Rete Lilliput. Lo fa durante una serie di incontri con alcune associazioni cattoliche, come ad esempio il gruppo Abele e la comunità romana di Capodarco. Fa sue ed elabora le riflessioni di Jeremy Brecher e Tim Costello contenute nel libro “Contro il capitale globale”. Dopo il suo ritorno in Italia, padre Alex diventa punto di riferimento del movimento new global e della Rete Lilliput partecipando in prima persona alla organizzazione e gestione del Social Forum europeo di Firenze (6-10 novembre 2002), che sancisce la vittoria della linea di quelli si sono battuti, dal G8 di Genova in poi, per eliminare la tentazione, da parte di minoranze del movimento new global, di scegliere la via violenta. A Firenze fu chiaro con le frange estreme ed espresse il concetto di civiltà della tenerezza: “La non violenza attiva non è pacifismo, è ben altra cosa. Ho cominciato leggendo Gandhi, Martin Luther King, Milani, Mazzolari e questi mi hanno aiutato a capire che era stato Gesù di Nazareth a praticare per primo la non violenza in quella Galilea schiacciata dall’imperialismo romano. Vi vorrei pregare, con tutto il cuore, di avere il coraggio di una scelta radicale di non violenza. Questo sistema è violento per natura. Noi dobbiamo costruire un sistema non violento, una civiltà della tenerezza”

Il ritorno a Napoli
Attualmente è nel quartiere Sanità di Napoli, uno dei simboli del degrado sociale del nostro Paese. In un contesto diverso, come a Korogocho, ha un solo obiettivo di fondo: “Aiutare la gente a rialzarsi, a riacquistare fiducia”.

7 commenti su “Salva l’Acqua-Campagna Nazionale contro la privatizzazione”

  1. Privatizzano L’acqua, il cimitero, dopo enel ,poste,ferrovie, telecomunicazioni,strade, a quando anche l’ARIA? Le politiche neoliberiste figlie della “deregulation” di Bush stanno mietendo milioni di vittime a vario genere sul PIANETA, CON UN CINISMO SCONFORTANTE, A CONFRONTO I “COMUNISTI” E I LORO REGIMI SEMBRANO DEI DILETTANTI!! IL TUTTO sic et nunc NEL SILENZIO GENERALESI CONSUMA __________Emergenza Acqua_________________________

    L’acqua sulla Terra è il 40 per cento in meno di trent’anni fa, e nel 2020 tre miliardi di persone resteranno senza. Ma gli Stati più forti stanno già sfruttando la situazione per trasformare questa risorsa in bene commerciabile.
    Il pianeta è rimasto a secco e, guarda caso, ce ne siamo accorti troppo tardi. Sotto la spinta della crescita demografica e per effetto dell’inquinamento, le risorse idriche pro capite negli ultimi trent’anni si sono ridotte del 40 per cento. Gli scienziati avvertono che, intorno al 2020, quando ad abitare la Terra saremo circa 8 miliardi, il numero delle persone senza accesso all’acqua potabile sarà di 3 miliardi circa. Le soluzioni prospettate finora per far fronte al problema hanno cercato di aumentare l’offerta, piuttosto che di contenere la domanda, rivelandosi però inefficaci: le grandi dighe sono al centro di dibattiti per gli alti costi umani e ambientali e per la razionalità ecologica, mentre la desalinizzazione, oltre ad avere costi economici proibitivi, presenta forti controindicazioni dal punto di vista ambientale ed energetico. Questi e altri stratagemmi mostrano tutti i loro limiti rispetto al complesso ecosistema del ciclo dell’acqua.
    Di fronte al fallimento della tecnica, aumentano le previsioni catastrofiche sulla battaglia planetaria che si scatenerà per l’accesso all'”oro blu” del XXI secolo. “Il whisky è per bere, l’acqua per combattersi”, sosteneva Mark Twain, e le tesi di osservatori internazionali, personalità politiche ed esperti di strategia sembrano confermare quella riflessione. Di fronte ai dati allarmanti sullo stato delle risorse idriche del pianeta, la maggior parte degli esperti hanno dichiarato che “le guerre del ventunesimo secolo scoppieranno a causa delle dispute sull’accesso all’acqua”.
    Quello delle “guerre per l’acqua” è un tema che si presta a catturare l’attenzione e le preoccupazioni dell’opinione pubblica, vista la centralità – e addirittura la sacralità – che l’acqua riveste in molte società e culture. Eppure il discorso, presentato esclusivamente nei termini della crescente scarsità – e conseguente rischio di conflitti armati – può risultare semplicistico: si tende a presentare la situazione come immodificabile, quasi apocalittica, senza interrogarsi sulle cause reali che hanno portato il pianeta sull’orlo del collasso idrico e che impediscono a un terzo dell’umanità di avere l’accesso diretto alle acque potabili.
    Fiumi inquinati, acqua imbevibile

    Viene da chiedersi come mai la Cina, sul cui territorio si concentrano più del 40 per cento delle risorse idriche mondiali, si trova ad affrontare una grave penuria d’acqua potabile e irrigua: mettendo al primo posto la crescita industriale, il governo di Pechino non si è infatti preoccupato di tutelare le risorse ambientali, con il risultato che attualmente un terzo dei corsi d’acqua è inquinato, mentre nelle città il 50 per cento dell’acqua non è potabile. E le vendite dell’acqua in bottiglia delle multinazionali come Danone e Nestlé esplodono grazie alla preoccupazione dei consumatori per la scarsa qualità dell’acqua del rubinetto.
    Altro dubbio legittimo: a cosa si deve la differenza tra coloni israeliani e popolazione araba che, pur vivendo negli stessi territori, usufruiscono di differenti possibilità d’accesso e di utilizzazione delle risorse idriche? Il consumo medio palestinese, in Cisgiordania e a Gaza, è di circa 150 mc pro capite all’anno, mentre quello dei coloni israeliani dei territori occupati si aggira intorno ai 700-800 mc. L’accesso alle risorse idriche diventa così fonte di disuguaglianza e tensione, alimentando i problemi legati alla sicurezza: non è un caso se in Israele l’acqua dipende dal Ministero dell’Agricoltura, in Palestina dal Ministero Israeliano della Difesa. Il semplice riferimento alle dotazioni naturali non spiega neanche come mai due paesi come Spagna e Giordania, a parità di risorse idriche pro capite, percepiscono in modo assai diverso la loro situazione: chi si sognerebbe di pronosticare un’entrata in guerra della Spagna contro i suoi vicini per garantirsi l’approvvigionamento idrico? E’ chiaro che, in molti casi in cui l’acqua sembrerebbe disponibile (come in Brasile, Cina, India, Turchia…), larghe fasce della popolazione non riescono a far valere il proprio titolo valido, per dirla alla Amartya Sen. La capacità di disporre di beni e servizi, e tra questi l’acqua (bene primario in termini igienico-sanitari e di sopravvivenza alimentare) dipende cioè dalle caratteristiche giuridiche, politiche, economiche e sociali di una certa società, e dalla posizione che l’individuo occupa in essa, piuttosto che dalla semplice disponibilità del bene o del servizio in questione.

    Tariffe salate

    I conflitti per l’accesso all’acqua iniziano all’interno dello Stato, coinvolgendo e opponendo i grossi coltivatori – fautori dell’agricoltura intensiva – ai piccoli proprietari terrieri, gli industriali agli operatori turistici, ma soprattutto tagliando fuori le comunità rurali e indigene il cui “approccio” all’acqua è, per così dire, di tipo imprenditoriale, e, inevitabilmente, gli abitanti delle periferie delle megalopoli, in cui le infrastrutture igienico-sanitarie sono poche o nulle. Questo tipo di conflitti non dipende tanto da fattori naturali come il clima o la dotazione di risorse idriche, quanto dalle scelte politiche, economiche e sociali di chi gestisce la res publica. In Bolivia, dove l’acqua non manca, all’inizio di aprile si è proclamato lo stato d’assedio per frenare le azioni di protesta diffuse in tutto il paese contro l’aumento delle tariffe dell’acqua del 20 per cento, previsto dal progetto governativo della Legge delle Acque che ne affida la gestione a un consorzio di multinazionali europee e americane.
    Attualmente, nel mondo ci sono circa cinquanta conflitti tra Stati per cause legate all’accesso, all’utilizzo e alla proprietà di risorse idriche. Anche in questo caso, la maggior parte delle analisi citano come causa primaria un divario sempre più ampio tra la domanda e l’offerta, e, senza dubbio, si tratta di fattori cruciali: la zona in cui lo “stress idrico” minaccia da un momento all’altro di trasformarsi in conflitto armato è quella del Medio Oriente, dove il clima e le riserve idriche sono tra i più disgraziati del pianeta. Ma le spiegazioni basate sulla penuria d’acqua sono solo una mezza verità: che dire ad esempio della Turchia, vero e proprio chateau d’eau del Medio Oriente, con risorse idriche pro capite superiori a quelle italiane, e che però combatte da anni con Siria e Iraq per il controllo di Tigri ed Eufrate? Quello turco – ma anche quello dell’Egitto nei confronti di Etiopia e Sudan, e di Israele verso i suoi vicini arabi, tanto per citarne qualcuno – è un classico esempio di “idropolitica”, ovvero di politica fatta con l’acqua: strumento strategico per assicurarsi il potere e la supremazia economica in una determinata regione.

    Acqua come il petrolio

    Nelle zone più aride la questione idrica è sempre servita ad alimentare la propaganda di regimi nazionalisti – si pensi alla retorica che circonda la costruzione di una grande diga, e ai nomi che le vengono dati: Saddam, Ataturk, Nasser. Così l’acqua si è trasformata, di volta in volta, in obiettivo strategico da colpire per indebolire l’avversario, in uno strumento di ricatto che serviva a garantire la supremazia regionale. Con l’attuazione del progetto Gap, che prevede la realizzazione di 22 dighe e 19 centrali idroelettriche, la Turchia ha due obiettivi: ribadire la sua supremazia rispetto a Siria e Iraq – anche quelli alle prese con progetti idraulici altrettanto imponenti – e controllare militarmente (con la scusa di proteggere i cantieri dagli attentati) i territori dell’Anatolia sudorientale, che da sempre sono roccaforte dei curdi.
    Il caso turco, così come quello israeliano, dimostra come le “guerre per l’acqua” possano essere la conseguenza più che la causa delle tensioni internazionali, e rivela la pericolosità delle logiche dell’idropolitica. Una politica di potenza basata sul ricatto idrico, e sulle difficoltà di approvvigionamento degli avversari, non è certo la strada migliore per risolvere la penuria d’acqua: al contrario, tende a “mantenere” la scarsità per poter far valere i propri meccanismi. E’ chiaro che, in questo contesto, la proposta di considerare l’acqua come bene economico raro, assegnandole un prezzo di mercato che ne rifletta la scarsità, non favorisce la pace e la cooperazione, come sostengono i suoi fautori, ma porta dritti alla petrolizzazione dell’acqua. La soluzione ai problemi legati alla scarsità idrica in molti casi non si trova nell’acqua, o in costose e discutibili soluzioni tecniche, ma passa per la volontà politica dei dirigenti. Che vuol dire avviare una seria cooperazione a livello regionale e internazionale…CI STIAMO SCAVANDO LA FOSSA!!!

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  2. L’acqua è un patrimonio pubblico. E’ un dono di Dio e di Madre Natura. Appartiene a tutti. Privatizzarne la gestione (e quindi anche le tariffe) è proprio da scellerati.

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  3. Qui non è solo la privatizzazione dell’acqua, che è una delle ultime prepotenti liberalizzazioni, qui è la conclusione di molte verità che tutti, da destra, centro e sinistra, hanno fatto finta di non vedere per anni, e che adesso, tutti, per scrollarsele, danno la gestione ai privati. Invece sarebbe bastato immettere nel sistema legislativo del pubblico, delle regole ferree ove le responsabilità penali e civili aumentassero proporzionalmente al ruolo occupato, con eventuale immediata disposizione di sequestro cautelativo dei beni del pubblico ufficiale o incaricato o nominato che si vendeva o cercava tangenti. Invece si è permesso nel pubblico, dallo sportellista al più alto dirigente, direttore e presidente, che ci fosse il massimo del degrado etico ed operativo. Persino intere categorie di lavoratori o pseudo tali, sono notoriamente state assunte non solo attraverso scambi di favori elettorali ma pure, a detta di molti, dalla criminalità locale ed organizzata. Adesso, ne piangiamo le conseguenze. Ma chi pagherà veramente alla fine saremo sempre e solo noi cittadini comuni che in ultimo sembriamo ormai solo degli zombi senza dignità, poichè chi arriva prima in questo Stato prepotente, ci può forzosamente sputare in faccia quando vuole, tanto le leggi se li fanno a loro immagine e somiglianza (‘mafiose’), ma ci può pure passare di sopra, in quanto sanno che noi davanti a questo Stato prevaricatore di politici, istituzionali, burocrati, affaristi, ecc. siamo pure, per colpa di questa pseudo giustizia, degli evidenti inermi.

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