Peppino Manzione e le Lotte Agrarie: Racconto di un protagonista

Le lotte agrarie  degli  anni  ’40  e  ’50 furono una rivoluzione vera, nella  storia recente  del Mezzogiorno e del Paese.

Dopo 60 anni c’è bisogno di nuove lotte contadine? Semmai di affermazioni di principi di legalità e di civiltà perdute.

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EBOLI – Sollecitato dall’amico Antonio Lioi, che a giusta ragione riteneva interessantissimo, l’intervento del Professor Giuseppe Manzione al Convegno “Riforma Agraria e lotte contadine nella Piana del Sele”, organizzato dall’Associazione “Voci di donne”, ho voluto pubblicarlo.

Perché interessante? Perchè merita, per lo spaccato delle vicende storiche che racconta, la testimonianza e la cronologia degli avvenimenti che propone, oltre che il vissuto e la partecipazione politica di massa, uno dei momenti più esaltanti di una lotta di popolo che portò allo smembramento, in parte, del latifondo e alla conquista delle terre da parte dei contadini.

Una conquista che cambiò le sorti politiche ed economiche del mezzogiorno e che diede un grande impulso anche alla ricchezza del Paese, affermando un principio sacrosanto: “La terra ai contadini“. Da Braccianti a piccoli conduttori, a protagonisti di un grande cambiamento, traendo e ricavando dalla terra grandi potenzialità e ricchezze, passando dalle culture estensive a quelle intensive e di grande specializzazione.

Peppino Manzione racconta bene i processi storici e politici da protagonista, ma oggi a distanza di 60 anni comunque, a quella grande vittoria di popolo e di civiltà dobbiamo registrare forti arretramenti rispetto a quelle conquiste. Lo scenario che si propone è desolante. Negli ultimi anni si è andata ricostruendo una condizione particolare, dettata anche dai mercati, che vede la formazione di nuove grandi concentrazioni di proprietà terriere: Nuovi “latifondi“, che utilizzano personale extracomunitario, per buona parte clandestino, governato da nuovi “caporali” che sfruttano indisturbati i nuovi braccianti agricoli. Assistiamo nella ricchezza ad una forma di degrado civile inimagginabile.

Se ci sono i “nuovi latifondi” ci sono anche i nuovi “latifondisti”, che sfruttano esseri umani, condizionano i mercati e orientano i prezzi. Nuovi “latifondisti” che dichiarano un reddito, poco più di quando dichiari uno dei loro pochi braccianti regolari, ma che realizzano grandi profitti ,nella colpevolezza delle istituzioni che stanno a guardare.

C’è bisogno di nuove lotte contadine? Semmai di affermazioni di principi di legalità e di civiltà perdute.

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Intervento/relazione di  Giuseppe Manzione

Immigrati nei campi

Innanzitutto, il più vivo apprezzamento alla dott. Assunta Nigro e a quanti hanno collaborato con lei all’organizzazione di questo Convegno sulla riforma agraria e le lotte contadine nella Piana del Sele, per approfondire ed ampliare, come lei scrive nella presentazione,   le conoscenze di  quel periodo storico che vide le popolazioni, con le istituzioni, i partiti politici, le organizzazioni sindacali, impegnate nelle grandi lotte per  la  terra, che furono lotte memorabili per il progresso e in particolare di civiltà  nelle campagne.

Di quel periodo, anni di scontri duri, di grandi tensioni sociali e politiche, mi si considera in un certo senso un testimone,  sopravvissuto a quelle vicende, con pochi amici,  compagni  ed avversari  di un tempo,  ne vedo qui alcuni, l’on. Tommaso Biamonte e il sen. Mario Vignola, con il sen. Gaetano Fasolino un poco più giovane di noi, spesso sollecitati  a ricordare,  a raccontare, ognuno ovviamente dal suo punto di osservazione, non tanto come storici di professione, ma come testimoni e chi meno come protagonisti,  come qui nel mio caso.

Ricordare fa sempre bene, sempre è utile riflettere sul passato, laddove sono le radici del nostro presente.

In particolare, devo dire che non sono mancate  in questi anni  le occasioni  per riflettere sulla vicenda delle lotte agrarie  di  cui parliamo.

Vincenzo Aita, che interverrà domani sulle lotte contadine dopo la riforma, ricorderà certamente uno dei più recenti incontri in cui abbiamo discusso di queste cose, quello  che tenemmo presso il nostro Istituto Tecnico Agrario nel dicembre del 2004, presenti, tra numerosi altri,   il prof. Antonio Cestaro,  nostro concittadino e storico di chiara fama, lo stesso Vincenzo Aita,  già assessore regionale all’agricoltura, Peppino Fresolone giovane ricercatore universitario di storia contemporanea,  il sindaco  dell’epoca  Gerardo Rosania e  il dottore  Mario Mellone, imprenditore agricolo tra i più importanti della  Piana  del Sele,  al quale in quell’occasione si volle rendere omaggio con il conferimento della cittadinanza onoraria deliberata in suo onore  dal nostro    Consiglio Comunale per il contributo da lui dato come imprenditore intelligente e di ampie vedute allo sviluppo della nostra agricoltura.

Da più parti,  quindi,  e  in tempi diversi,  sono  venuti  interventi utili a dare  di  questa vicenda delle lotte agrarie  una spiegazione, una valutazione, spunti di riflessione sia pure, ripeto,  come era inevitabile,  con voci  e idee diverse e talvolta discordi,  come era inevitabile.

Ora,  se  vogliamo   fare   la storia   dei  moti  contadini  che  abbiamo  avuto  qui  a  Eboli  è innanzitutto  agli anni dell’immediato dopoguerra che dobbiamo fare riferimento,  al panorama agrario quale si  presentava  nella nostra Piana   alla caduta del fascismo,    ripensare   alle condizioni di vita delle grandi masse di braccianti e contadini poveri che  stentavano la loro esistenza in  una condizione di assoluta e cronica  miseria,  tale  perché drammatica e diffusa era la disoccupazione,  gravi e intollerabili erano i livelli di sfruttamento con  assoluta  mancanza di  elementi  minimi essenziali,  previdenza e assistenza tra l’altro,   che potessero  consentire  un modo di vivere  umanamente accettabile.

Le  lotte  contadine  che si svolsero qui,  come in tutto  il Mezzogiorno,  non furono allora uno scoppio improvviso di collera popolare,  generato dal nulla, perché in realtà secolare  era  l’aspirazione  dei contadini  alla terra  e frequenti erano state,  nel corso della  storia  meridionale,  le esplosioni  di rivolta  contro la rapacità  dei grandi agrari,  spesso usurpatori  di terreni demaniali  che  venivano  sottratti agli usi civici,  e contro  amministratori pubblici cointeressati e complici  nel  mantenere  in piedi  l’egemonia dei grandi  proprietari  e  il loro status  di gentiluomini, o come si diceva di galantuomini.

Immigrati protesta di Rosarno

Ma quelle rivolte,  se davano luogo a clamorose  e spesso sanguinose  forme  di protesta,  non conseguirono risultati  di qualche  rilievo, mancando ad esse i caratteri di  movimento organizzato, con obiettivi chiari e con ampia base di consenso politico, con partiti e organizzazioni capaci  di elaborare iniziative e piattaforme di rivendicazioni come,  invece,  si verificherà nel secondo dopoguerra  quando,  dopo la caduta del fascismo  e  con la creazione  di condizioni di vita  democratica nel nostro paese,  le lotte per il lavoro,  per l’emancipazione delle classi lavoratrici, ebbero ben altra dimensione e consapevolezza,  e si poté cominciare a rompere l‘egemonia del blocco agrario.

Il movimento contadino assumerà allora, verso la metà e soprattutto verso la fine degli anni  ’40  il carattere di movimento di massa,  con la capacità di porre il problema della terra  come problema centrale dello sviluppo e del progresso  delle nostre comunità.

Io non credo di fare un discorso di parte se ricordo quale ruolo svolsero,  qui a Eboli   i partiti della sinistra comunista e socialista    allorché  ponemmo   come discriminante politica di fondo,

insieme ai  problemi della ricostruzione della città,  distrutta quasi interamente dai bombardamenti anglo-americani,   la necessità di un moto popolare  liberatorio  dalle  miserabili  condizioni in cui la gran parte della popolazione era  costretta, e creare condizioni di vivibilità e di dignità  per le classi più diseredate, per i braccianti e i contadini poveri che più di tutti portavano i segni della miseria e della sofferenza.

Indegno di un paese civile era, infatti, come i più anziani ricordano,  lo spettacolo dei braccianti e delle braccianti,  ragazze e madri di famiglia,  che la mattina,  di buon’ora, alle prime luci dell’alba,   sostavano in piazza,  fuori la porta  di Santa Caterina,  un bel luogo  scomparso  tra tante cose belle della nostra città  in conseguenza degli eventi bellici,  e aspettavano il caporale e  la caporalessa di turno  per essere ingaggiati e portati a lavoro sulle terre degli agrari,   con scarso cibo  appresso,  senza  tutela  di nessun genere sul piano assistenziale e previdenziale,  senza alcun rispetto della loro di dignità di esseri umani,   e con un salari  di fame, sui quali,   oltre al peso dello sfruttamento padronale,  gravava  anche  la rapina dei caporali  che vi lucravano  a  man  bassa.

E allora, per affrontare e rimuovere questa antica e intollerabile condizione di miseria e di sfruttamento nelle campagne,  si  cominciò  a  porre  in primo luogo   il  problema  appunto delle terre incolte,   con una prima  forma  di lotta   quale fu   quella per  l’imponibile di mano d’opera  nelle grandi aziende.

E  mi sembra  giusto  ricordare che proprio  da  Eboli già nel  ’44 avanzammo   al  ministro comunista Fausto Gullo, ministro dell’Agricoltura  nel governo di Salerno, la  richiesta di una apposita  legge  per l’assegnazione  delle  terre  incolte  alle cooperative  agricole,  che intanto  si erano  costituite, o si andavano costituendo   come  la  Cooperativa  rossa  “La Falce” e  quella  diciamo  bianca,  di ispirazione  cattolica, che prenderà  il nome  di Achille Grandi, l’Aratro di Capaccio e alcune altre tra Serre, Montecorvino,  Pontecagnano.

La richiesta di cui parlo, indirizzata al ministro Gullo,  fu avanzata e sottoscritta dal compagno Vincenzo Maurino a nome della Sezione di Eboli del Comitato di Liberazione, del quale  facevano parte  rappresentanti del Partito Comunista, del Partito Socialista, della Democrazia Cristiana, e personalità di tradizione liberale e antifascista, tra i quali il generale Giuseppe La Francesca, sindaco di Eboli nel primo dopoguerra, la cui amministrazione venne sciolta dal fascismo.

Ma a queste prime iniziative, alle lotte che pure si resero necessarie per ottenere il rispetto e l’applicazione dei “Decreti Gullo” ,    tenacemente avversati e contrastati dagli agrari, seguirà   di lì a poco,  verso la fine degli anni  ’40  l’assalto al latifondo  che vide la partecipazione di migliaia di contadini,  uomini e donne combattive,  in tutta la Piana del Sele, tra Eboli, Capaccio, Serre,  Altavilla,  Albanella, Battipaglia, Montecorvino, ma anche in altre zone della provincia,  nel Buccinese, l’Alto  Sele e il  Cilento.

E  ricordo  che proprio  qui a Eboli,  nel dicembre del 1947,  si tenne sui problemi della terra e della rinascita  la prima  Costituzione della Terra, una assise  fondamentale per  il movimento contadino, che si aprì con una relazione di Abdon Alinovi,   allora giovane dirigente della federazione comunista salernitana insieme con il nostro carissimo compagno  Giovanni Perrotta, Giuseppe Vignola, Ninì Di Marino, e che vide la presenza dei  più autorevoli esponenti politici e sindacali della sinistra,  da Giorgio Amendola  a Emilio Sereni, Luigi Cacciatore, Pietro Grifone,  oltre alla partecipazione di forti e numerose delegazioni di braccianti e contadini provenienti  da tutta la provincia, dal   Beneventano e  dall’Avellinese,  presenti altresì i capi storici del mondo contadino ( il vecchio Vincenzo Aita, per esempio,  i  La Padula,  i Latronico, ebolitani ),   i presidenti delle cooperative agricole  di Eboli,  Capaccio,   Pontecagnano,   Montecorvino,  rappresentanze  delle istituzioni locali  e delegazioni operaie  delle fabbriche salernitane  e napoletane, venute a dare la la loro solidarietà alle nostre popolazioni.

Quella prima assise  della Costituente della Terra fu veramente l’atto di nascita  di una nuova stagione  di lotte nelle  campagne,  con la rivendicazione espressa con forza e a gran voce  di una riforma agraria generale, e  su nuove basi allora   si venne dispiegando   un vasto movimento ovunque  dove era il latifondo  con massicce occupazioni di  terreni incolti, spesso da tempo immemorabile abbandonati.

immigrati nei campi

Ma pesante fu  da per tutto   l’intervento della polizia schierata  in difesa  dei  grandi agrari, e si ebbero feriti,  arresti e   denunzie che dettero luogo a lunghi processi in Tribunale e in Corte d’Assise,  processi nei quali furono coinvolti  centinaia  di contadini e  numerosi dirigenti politici  e sindacali,  tra i quali  ricorderò,  per tutti, Silvano Levrero,  che fu l’anima dell’organizzazione del movimento qui nella Piana del Sele,  Pino Lanocita,  Salvatore Paolino, giovane sindaco di Capaccio in quel tempo, Giovanni Perrotta, con tanti altri che,    tutti,   meriterebbero di essere ricordati  come  protagonisti di quella grande epopea,  cosi  come non va dimenticato l’impegno profuso  accanto ai contadini in lotta dai parlamentari  Pietro Amendola,   Luigi Cacciatore,  Pietro Grifone.

Un ricordo particolare,  fra tanti, ho della vicenda di Buccino, il paese dove sono nato anche se da genitori ebolitani,  dove alla vigilia del  Natale del 1949,  a centinaia braccianti e contadini, con le loro donne,  si portarono sui terreni incolti di alcuni grossi proprietari,  signorotti locali  e  feudatari e cominciarono a dissodarli,  come a manifestare la loro ferma volontà di averli in concessione.

Feroci  furono anche qui gli assalti delle forze di  polizia,  arrivate da più Caserme della zona,  si sparò contro  i  lavoratori inermi,   contro le donne che erano i prima fila a protestare,   e vi furono contusi  e feriti, oltre a numerosi arresti di  contadini  e  dirigenti del movimento,  tra i quali  la compagna comunista Rosa Forlano, una anziana contadina, combattiva e intelligente,  arrestata con altri compagni di lotta e tenuta lungi mesi in carcere,   e  il compagno  socialista  Gigi  Paesano, una persona di prim’ordine  che fece del suo impegno politico e sindacale  quasi un apostolato e con il quale agli inizi degli anni  ’50  ho avuto frequenti occasioni    di impegno politico  e  organizzativo  tra i contadini,  nella mia qualità  di dirigente dell’Associazione dei Contadini del Mezzogiorno assieme a Pino Lanocita.

Ricordo  che lAvanti, quotidiano socialista,  uscì il giorno dopo quei fatti,  quasi un’edizione straordinaria, con un grande titolo in rosso a tutta prima pagina : NATALE DI SANGUE A BUCCINO.

Ma di fronte a tanta violenza e nonostante difficoltà e rischi personali,  la resistenza dei contadini, non venne mai meno.

Tutto il Mezzogiorno  ora  era in piedi  e   non mancò il successo.

Il governo  De Gasperi,  pur tra opposizioni e contrasti,   nell’ottobre  del 1950  si decise  ad emanare   una legge di riforma  agraria,  la cosiddetta  “legge stralcio”,  che non aveva,  in verità, la  dimensione  di una riforma  quale  era  nelle aspirazioni  delle  masse contadine  e  bracciantili e  nelle rivendicazioni del  movimento, ma che,  tuttavia,  rese possibile  la  concessione di terreni incolti o mal coltivati per  oltre  un milione di ettari nel Mezzogiorno, tra Sicilia, la Calabria, la Basilicata,  la Sardegna e la Campania,  regioni dove,  in  presenza di estesi latifondi,   la questione agraria  si  era posta  in forme  più  acute.

Qui,  nella  Piana del Sele,  si ebbero circa  7000  ettari  assegnati  in poderi  e quote, dei quali  poco meno di  3000  in  territorio  di Capaccio-Paestum,  oltre 1500  in territorio di Eboli,  e  circa 2000   complessivamente  tra Battipaglia,  Altavilla, Serre e Montcorvino.

Certo,  ripeto,  non si trattò della  riforma agraria generale per la quale il mondo contadino era sceso in lotta   e,  tuttavia, importante  fu  il contributo  che ne derivò a sollevare le condizioni di tante famiglie e allo sviluppo  della  nostra  economia.

Dove,  infatti,  era  il latifondo incolto,  dove erano le paludi,  regno  delle bufale, dove    regnavano  miseria  e malattie endemiche   come la malaria,  abbiamo avuto  nel tempo,  grazie al lavoro e ai sacrifici  dei  contadini e delle loro famiglie,   campi coltivati,  serre  e frutteti,  che hanno rappresentato e rappresentano  la vera  ricchezza  della nostra  terra, anche se oggi non  possiamo nasconderci  le  difficoltà  di cui soffre  la nostra agricoltura,  nel  contesto  di una economia  globale  dominata dalle grandi concentrazioni  monopolistiche  e   dalle speculazioni del mercato-.

Possiamo  dire,  allora,  che pur con tutti i limiti,  quella  riforma  agraria  fu l’unica  vera rivoluzione  nella  storia   meridionale.

Naturalmente,  su tutta la vicenda e sugli esiti  di  quelle  lotte  non  sono  mancate in questi  anni riflessioni  e  osservazioni critiche,  sia  da parte di quanti sono stati sempre  ostili,  diciamo  così,  per posizioni  e scelte  conservatrici  e  di classe al riscatto delle plebi sfruttate, sia  nell’ambito della cultura  democratica  e di  sinistra,  e tra  gli stessi protagonisti del movimento.

Critiche,  alcune  giuste,  altre  segnate,  come  dire,   dal senno di  poi,   che è il modo peggiore di fare storia.

E varrebbe anche  qui la pena di  discuterle serenamente,  senza partito  preso.

Personalmente,  per non abusare  della vostra pazienza,  ne accennerò solo una, che è abbastanza curiosa e  riguarda chi dice:  Bè, che è tutta questa storia  delle lotte agrarie, erano proprio necessarie,  tutto sommato il latifondo assenteista quasi non esisteva, circa la metà  dei terreni era destinato a colture pregiate, e così via.

Ora, a parer mio,  per quanto riguarda le  colture pregiate di cui si parla, andrebbe precisato che si tratta per quell’epoca essenzialmente della coltivazione del tabacco e del pomodoro, prodotti destinati alla lavorazione nei tabacchifici della SAIM,  o al mercato interno,  quando non anche di pura sussistenza.

Certo non si può negare che, grazie alla realizzazione di vaste opere di bonifica,  avviate già in epoca fascista e accelerate massicciamente negli anni del  secondo dopoguerra, notevoli estensioni di terreni  subirono  importanti trasformazioni e furono rese produttive.

Ma bisognerebbe dimostrare come quest’assunto regge, …. se  per  poco  facciamo riferimento alla grande proprietà  fondiaria, alla  realtà  del latifondo di cui parliamo,   alle 34 grandi proprietà con circa 500 ettari,  alle 6 proprietà tra i 500 e 1000 ettari ciascuna,   alle  5  grandi  proprietà  la cui consistenza superava  i  1000 ettari.  ( Naturalmente  si tratta di dati ufficiali relativi alla distribuzione della  proprietà fondiaria esistente nella  Piana del Sele,  provenienti dall’Istituto Nazionale di  Economia  Agraria ),  a fronte dei quali  comunque meno  della metà appunto erano  interessati  a coltivazioni  più o meno di pregio,  il resto era latifondo incolto o  adibito più o meno a pascolo brado.

In questo tipo di critica tutto ciò non viene tenuto presente,  o viene pretestuosamente  sottaciuto, e  il tutto non giova alla ricerca della verità,   come in generale  non giova a  mettere  a fuoco nei giusti termini  i risultati conseguiti,  quando per  il gusto della polemica si pone quasi eslclusivamente l’accento su errori e limiti del movimento che pure vi furono,    ma  che si enfatizzano  fino a parlare di “rivoluzione tradita”,   come se  le conquiste  rese possibili  da  tante lotte  popolari  fossero venuti  dall’iperuranio.

D’altra  parte parliamo  di sessan’anni fa,  di quel preciso contesto  e, come dicevo, le critiche  col senno di poi,   non giovano a niente e a nessuno,  mentre bisogna tener presente che,   al di là di tutto,  e nonostante limiti, errori  quant’altro,  le lotte agrarie  degli  anni  ’40  e  ’50 non furono una passeggiata,  una scampagnata  in giornata  di festa,  ma furono una rivoluzione vera  per  tutto quello  hanno  rappresentato  nella  storia recente,  del Mezzogiorno e del Paese.

15 commenti su “Peppino Manzione e le Lotte Agrarie: Racconto di un protagonista”

  1. Una gran bella storia ,ma non ci sto quando si dice che il dissenso e le critiche con il senno del poi non vanno bene perche quelli erano tempi di 60 anni fa e quindi valutare le cose in quel contesto storico.
    Se non si potesse analizzare il passato non ci sarebbe motivo di sapere la storia.
    Credo che volutamente si sia fatto in passato un analisi poco
    attenta depistando un po i contadini a che cosa andavano incontro loro sono stati i veri eroi.
    E’ ora di finirla che dietro al popolo ci vuole sempre l’intellettuale politico come guida prendendosi meriti ed elogi .
    E’ anche vero che in quell’epoca del dopo guerra fatta di miseria e di fame pochi erano coloro che sapevano leggere e scrivere quindi l’ignoranza la faceva da padroni ma il mestiere della sopravvivenza camminava a pari passo con la cultura sia nelle scelte che nelle strategie.
    Mi piace molto quando si descrive l’effetto avuto dalla pseudo riforma agraria ,conquiste di terreni incolti eangusti pagati con la fame .
    In piu nel citare alcuni personaggi che sono ancora viventi e farli passare come eroi della storia locale non ci sto non è vero .Aida cosa ha fatto?

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  2. Sono tempi passati, val la pena ricordarli, ma guai a non andare oltre. Oggi bisogna affermare solo la legalità. Le leggi ci sono. Noi cittadini ci sentiamo inermi.

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  3. In questo “romanzetto” che sembra rosa ma rosa non è, non vedo citati i nomi di chi effettivamente fece la lotta per la terra, vedo citati molti “intellettuali” del PCI, che la lotta della terra l’hanno fatta, al caldo o al fresco, a seconda della stagione, dai loro studi professionali o dai loro uffici! Mentre Sabato Nunziante, Elisabetta La Terza la madre di Sabato e balia di Abdon Alinovi, Cosimo Capaccio, Gennaro Coraluzzo, Antonio Dianese alias “o bambeniello”, il figlio Vito “o Capitano”, Vincenzo Aita senior, Cosimo Aita il figlio, Pesapane, Giovanni Gallotta, Gerardo Rosania senior, e tantissimi altri ebbero a ricevere solo manganellate, carcere e, in alcuni casi, non ebbero la tanta agognata “terra”!
    Ricordo i lividi e le croste di cui era cosparsa la testa di mio padre, lividi e croste causati dai manganelli della Celere, che all’epoca ci andava pesante, soprattutto nei confronti degli “scassacazzi” che erano sempre presenti a tutte le manifestazioni di piazza e mio padre di manganellate ne ha prese tantissime, perchè era lì sempre in prima fila! Giuseppe Manzione, Abdon Alinovi, Vincenzo Aita, Mario Vignola, Giuseppe Vignola ricorderanno sicuramente Sabbatiello “o fascenaro”.
    Gennaro Nunziante

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  4. @ caro Gennaro come penso sei uomo di Sinitra che vede la realta’ vera dei fatti , ma di devi rassegnare la storia la fanno i furbi , che come al solito dimenticano altre “comparse” che sono state il cuore delle lotte agrarie,

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  5. XcomunistaX.
    Definire “comparse” chi sostanzialmente ha portato a termine una operazione colossale, che si può, con sicurezza, definire “la rivoluzione meridionale, è ingiusto ! I furbi fanno la storia della furbizia ! Le conquiste fatte da questi personaggi dimenticati sono sotto gli occhi di tutti e danno, ancora oggi, la possibilità di una vita dignitosa a centinaia di famiglie, altro che “comparsate”, trattasi di vero e proprio “esproprio proletario” fatto da “attori” e tutti protagonisti! Gran parte dell’intellighentia del “partito” stava dalla parte degli “attori” (non comparse) della riforma fondiaria per interesse : mio padre raccontava di quando la “Cooperativa La Falce” fu sfrattata, per morosità, dai terreni che aveva occupato, nonostante mio padre avesse consegnato i soldi del fitto proprio ad uno di quei “tromboni” citati nella relazione del prof. Manzione. Per non tediarvi, voglio raccontarvi un ultimo episodio : mio padre faceva parte del Consiglio di Amministrazione della Cooperativa La Falce, era il tempo della semina del grano e bisognava acquistare le sementi e poichè un “compagno”, all’epoca, vendeva semi e concimi, i soci della cooperativa si rivolsero, naturalmente, a lui e pattuirono con questo personaggio, tuttora in auge, di pagare le merci occorse nella fase della semina, a trebbiatura avvenuta, ebbene a Natale, contravvenendo all’accordo,
    fece emettere decreto ingiuntivo contro i contadini della cooperativa La Falce, proprio da uno di quegli avvocati citati nella relazione Manzione. Mio padre si fece difendere dall’avv. Giovine, democristiano di ferro, cosa che non fu molto gradita dall'”Organizzazione”. Gli fu detto : “ma come, cu tutt’ l’avvucat’ ca nce sò int”o partito, proprio a Giovine ti dovevi rivolgere?”. Le “comparse”, io li definirei attori protagonisti di un grande film d’azione , che ,in certi momenti, dovettero lottare anche contro l’intellighentia della loro, all’epoca, “mostruosa organizzazione”.
    Gennaro Nunziante

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  6. Come si puo notare anche gli interventi sono un po confusi spesso ci si scontra su particolari perdendo la direzione dell’argomento centrale. Ma questo si vuole confondere i lettori per continuare a sostenere la propria versione.Tutti hanno ragione ma piu di tutti coloro che hanno pasgato di persona ,anche io ho avuto mio zio che a fatto queste lotte e come premio ebbe due mesi di carcere ma senza avere il terreno.
    Alle spalle di questi eventi si svilupparono vittorie elettorali egladanti del tipo il senatore vignola è stato nominato dal relatore ,costui ha portato solo guai ad eboli speculando sull’ arrivo del metano facendolo ritardare di qualche decennio per continuare a vendere le cosidette bombole della sua azienda.
    Costui continua a percepire la pensione da ex parlamentare per aver fatto che cosa? questi sono i pa…….ti della storia.

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  7. @ antilatifondista il senso del mio intervento e’ sembrato al caro Gennaro dispreggiativo,( non mi sarei mai permesso conoscendolo bene), ma il succo e’ quello da te descritto .CHI ha benificiato dell’ espropio proletario( diritto sancito dalla costituzione Principio Lavorista) sono stati non quelli che con il cuore ed IO dico anche la necessita’ si sono sacrificati x una giusta causa , ma quelli che con inteliigenza hanno saputo cavalcare quel movimento traendone benefici personali.

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  8. ho letto solo ora la relazione di Peppe Manzione sulla stagione dura e difficile dell’occupazione delle terre nella Piana del Sele.
    Noi eravamo più giovani ed eravamo figli del ’68 quando ci avvicinammo al PCI, tant’è che io,insieme a Vito Pindozzi e Berardino D’Acunto ,con uno stratagemma orchestrato da Cassese,Sparano e lo stesso Manzione, ci trovammo quasi a nostra insaputa, candidati alle elezioni comunali del 1970. Eravamo ancora studenti universitari e il PARTITO aveva bisogno di nuova linfa! Così non fummo testimoni diretti di quegli avvenimenti ma, gli echi della stagione gloriosa dell’occupazione delle terre incolte erano ancora vivi e sentiti nella pelle dei protagonisti. Al di là delle banali definizioni di “rivoluzione tradita”(e qui ci sarebbe da scrivere più di un saggio), uno degli errori fondamentali del gruppo dirigente comunista fu l’incapacità di cogliere “il nuovo che avanzava”. Per troppi lunghi anni, non si compresero le dinamiche economiche,sociali,civili e quindi anche politiche che si andavano sviluppando in Italia e nella Piana del Sele. La conseguenza fu l’attuazione della Riforma Agraria da parte di personaggi e di tecnici legati a filo doppio con la Democrazia Cristiana. Intanto avanzava un nuovo ceto politico che,pur richiamandosi agli ideali del socialismo, usava l’arma della spregiudicatezza e del pragmatismo per occupare sempre più spazi di potere, fino a diventare “padrone” della vita politica ebolitana e della Piana del Sele. Quindi ,se vogliamo parlare di rivoluzione tradita,parliamo prima di tradimento di quel ceto politico agli ideali puri del comunismo e del socialismo. Ma qui il discorso ci porterebe molto lontano. Qualcuno dovrà pur scrivere un giorno la vera storia delle lotte contadine nella piana del Sele.Concludo dicendo che è veramente ignobile e fuorviante voler ridurre la storia a fatterelli isolati,e ad infangare quella che è stata una delle stagioni più drammatiche del nostro territorio, ma anche una delle stagioni più partecipate ed eroiche . Da quella matrice,poi, Eboli crebbe come uno dei paesi più democratici e progressisti della zona ed ancora oggi,pur vivendo epoche politiche difficili ,l’alto e il basso Sele ci guarda ancora come modello di riferimento politico .

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  9. “Di ignobile e fuorviante” c’è solo il tuo intervento, quei fatterelli non sono isolati, all’epoca erano norma e non riguardavano solo la Democrazia Cristiana, riguardavano soprattutto il P.C.I. .Sei tu che stai infangando chi ha lottato strenuamente per avere un pezzo di terra ed affrancarsi, considerando il loro sacrificio marginale e non importante dal punto di vista storico, difendendo a spada tratta anche chi è indifendibile.
    Il periodo in cui Eboli veniva presa ad esempio dagli altri paesi del circondario è molto lontano, attualmente siamo considerati “alto esempio” di barbarie, in assenza totale di democrazia e progresso e su tutto impera, ancora, l’uomo che vendeva semi e concimi ai soci della cooperativa “La Falce”.

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  10. Egregio G. Nunziante non mi offendo quando definisci tutto il mio intervento ignobile e fuorviante perchè mi rendo conto che viene da una persona che si porta dentro una rabbia antica per torti subiti dal proprio genitore nell’ambito della cooperativa La Falce. E’ noto che ci furono personaggi indegni,oggi ancora in auge come tu dici (e vorrei tanto che facessi i nomi) che profittarono della situazione a beneficio del proprio portafoglio.
    Ma, credo furono marginali rispetto alla grande lotta per la conquista delle terre incolte. E,poi, perchè ti ostini a distinguere i protagonisti dalle comparse ? In una grande azione di popolo non ci sono protagonisti e comparse: ciascuno svolge il ruolo che gli compete in quel determinato momento storico. Qualcuno diventa leader carismatico sul campo. Ma questo ruolo lo può svolgere un intellettuale così come può essere assunto da un contadino o un lavoratore qualsiasi. Gramsci parlava di “intellettuale organico” . Ma questo tema ci porta molto lontano. Io sono più di trent’anni che vivo in Lucania. Lasciai Eboli nel 1981 per motivi di lavoro e di famiglia. Ero stato per 11 anni consigliere comunale,avevo ricoperto la carica di assessore ai lavori pubblici col sindaco Fulvio Scocozza e a quel partito comunista che tu tanto disprezzi non chiesi mai niente per la mia carriera personale. Infatti ricoprivo la carica di capo-gruppo consiliare quando me ne andai in un paese sperduto della Basilicata a fare l’insegnante supplente. Oggi,dopo tanti sacrifici e studi personali sono Dirigente Scolastico dopo aver superato brillantemente un pubblico concorso. Ancora oggi,però, non rinnego il passato,non tradisco i miei ideali pur avendo assistito a tanti episodi di gente che ha approfittato della propria militanza politica(anche nel vecchio PCI) per i propri interessi personali. Si tratta,egregio Nunziante di mettere da parte ogni acredine personale, di fare un’attenta analisi degli errori commessi nel pessato e di impegnarsi un minimo per tentare di restituire ad Eboli quella dignità perduta e superare le “barbarie” attuali. Credo che siamo ancora in tempo e lo dico da osservatore distaccato perchè vivo ancora a Lagonegro anche se sono profondamente legato alla mia città nobile e antica, aristocratica e contadina,sublime e cafona, grande e imperfetta. V. Cicalese

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  11. @ <Vincezo Cicalese mi dispiace intromettermi ancora una volta x mia scelta ho usato un termine improprio COMPARSE , il termine mi stimolava , i nomi il sig. Gennaro li ha fatti, sicuramente non e' un attore della storia ma e' una persona che quel periodo lo ha vissuto di riflesso di conseguenza dobbiamo solo prenderne atto . Dobbiamo prendere atto che come al solito alcune persone hanno fatto valere nelle sedi di partito azioni popolari secondo me x puri fini personali.Dobbiamo prendere e di questo mi dispiace moltissimo che il Prof. Manzione ha fatto passare il messaggio sbagliatissimo che gli espropi proletari (termine usato da Gennaro)siano stati fatti da poche persone dimenticando tutti gli altri, preferirei che il Prof MANZIONE abbia la bonta' di intervenire x meglio far capire quel periodo.

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  12. Per V.Cicalese.
    Ad usare le parole “ignobile e fuorviante ” sei stato tu quando hai definito la lotta per la conquista della terra “fatterello isolato” o insieme di “fatterelli isolati’.
    Non ho infangato nessuno, anzi ho difeso chi, effettivamente, sfidando leggi e polizia, lotto’ per togliere la terra ai latifondisti .
    A me non va giu’ chi quelle lotte uso’ per raggiungere, pur non meritandolo, vantaggi personali (politici, economici e professionali). Concludendo ti invito a rileggere sia il mio intervento che il tuo, perche’ non mi sembra di avere acredini personali nei confronti di chicchessia ne’ tantomeno contro il vecchio PCI.
    Le barbarie attuali sono sotto gli occhi di tutti e, allo stato, non mi sembra che ci siano tentativi che portino ad una, auspicabile, inversione di tendenza. Io, come te, amo Eboli e soffro vederla dilaniata dalle orde barbariche, almeno tu non vivendo ad Eboli soffri in modo “dilazionato” ,io invece subisco e vivo, quotidianamente, “il sacco”!
    L’unica differenza di vedute tra me e te e’ sulla visione della soria : io do valore a chi con sacrificio ha lottato contro le istituzione e non mi va che centinaia di “fatterelli isolati” debbano essere confusi, dimenticati e fagocitati dalla storia a vantaggio anche di chi pensava, all’epoca dei fatti, ad altre cose.
    Gennaro Nunziante

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  13. invece di litigare ,perche non fate capire o farmi capire come mai dopo questa conquista o contemporaneamente la SAIMA non fu mai toccata ,ne i suoi fondi chi erano i proprietari che per decenni hanno attinto a fondi statali per la lavorazione di tabacco e quelle terre non vennero mai toccate. Perche la SAIMA non è mai stata indagata su come venivano reclutati gli opereai il trattamento salariato in piu come è avvenuta la sua dolce fine dopo la bufera, si sa solo che la sua morte è stata una vendita a mosaico. Questa struttura cioè quella di loc. fiocche doveva essere un luogo dedicato alla memoria storica della compagine delle lotte contadine e di tutto cio che ci è girato intorno. Sicuramente sara replicato che son tutte sciocchezze e che la SAIMA ha sfamato tante persone come si puo notare anche dalla documentazione fotografica esposta nell’attuale bar all’epoca portineria dell’azienda. Dico solo che mia madre ,aimè ci ha lavoratopre un certo periodo ,e raccontava che il reclutamento avveniva attraverso raccomandazioni di caporali oppure attraverso lo struscio di donne prestanti che facevano domanda per lavorare. Questo è corruzione,ma come mai quei terreni non furono espropriati e chi erano i padroni ,quali rapporti avevano con il mondo politico.Queste cose sarebbero interessanti da sapere.

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  14. per G. Nunziante
    prendo atto dei tuoi chiarimenti e anche tu devi convenire che non intendevo affatto ridurre la gloriosa lotta per la conquista delle terre ad un insieme di fattereli isolati. Credimi, sono fermamente convinto che anche il più umile di quella popolazione che partecipò ai fatti di cui discutiamo, merita rispetto ed onore. Ciascuno nel proprio piccolo o grande che sia diede un esempio formidabile di come una popolazione allo stremo seppe reagire alle ingiustizie e alle angherie. Purtroppo,oggi,all’orizzonte non si intravede alcuno disposto a ribellarsi alla “moderna barbarie”. Viviamo tempi bastardi e maledetti perchè “la casta” al potere(in essa includo anche la sinistra) è riuscita a fagogitare le coscienze della stragrande maggioranza degli Italiani. Nessuno vuole mollare l’osso, compreso i D’Alema, i Bersani ecc.. Mi sai nominare un paese in Europa dove gli sconfitti politici sono sempre lì a pontificare? Mi sai nominare un paese in Europa e forse nel mondo dove non consentano ad un quarantenne di emergere sulla scena nazionale? Tutti i Partiti sono bloccati su posizioni di potere e a tutti fa comodo l’attuale legge elettorale attraverso cui i capi-bastoni indicano chi deve essere eletto nel parlamento italiano . Quando durerà ancora tutto questo? I giovani si sapranno ribellare a questo ignobile sistema? Anch’io nutro grossi dubbi…

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